Valerio Evangelisti, Il sole dell’avvenire
Mondadori, 530 pagine, 17,50 euro
Prima di inventare Eymerich e un ricco ciclo di vicende fantastiche, Evangelisti si occupava di storia del movimento operaio e contadino, in particolare emiliano-romagnolo (Odoya ha ristampato i lavori scritti con Emanuela Zucchini), ed è a questo che torna con questo romanzo, primo di una trilogia.
Sa di quel che parla e, in una lingua piana e senza fronzoli, lega le vicende di una famiglia a quelle della storia italiana, narrata dal punto di vista degli sfruttati e degli oppressi. Tra il 1875 e il 1898, l’anno di Bava Beccaris e delle sue stragi, le vicende di Attilio Veraldi, bracciante ex garibaldino, socialista dal carattere debole, e di sua moglie Rosa, di famiglia mezzadrile repubblicana, e del figlio Canzio, per secondo nome Spartaco, sono legate a quelle di un movimento nascente – diviso nelle sue correnti ma unito dal rifiuto di uno stato delle cose iniquo e classista – e dei suoi leader, che si chiamano Costa e Cipriani, Saffi e più avanti Turati.
Nessuno sfugge alla storia, e per i proletari che lo sanno la vita è vita di sfruttamenti e di lotte. Se i personaggi hanno a volte troppa coscienza di ciò che accade, la strada seguita dall’autore è appassionante e oggi, in mezzo a un popolo di coscienza e memoria nulle, la sua scelta di tornare al romanzo storico e sociale appassiona e convince.
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