Giorgio Falco, La gemella H
Einaudi, 352 pagine, 18,50 euro
Nella letteratura italiana di questi anni, ricca più di buoni scrittori che di buoni lettori, conta molto la storia che ha segnato la vita di tutti – sia gli artefici sia i complici e i succubi – come si cercasse di rispondere alla domanda “da dove veniamo?” e “perché siamo come siamo?”.
Falco sceglie, con ottimi risultati, di parlare delle persone comuni, della zona grigia, e sposta i suoi personaggi – una famiglia tedesca che seguiamo dalla Baviera degli anni trenta all’Alto Adige o Sud Tirolo del dopoguerra, a Cervia agli inizi del boom e infine a Milano; genitori (lui giornalista e nazista prima, poi albergatore in Romagna) e figlie (le gemelle Hilde a Helga, di diverso e mediocre temperamento) – sullo sfondo di un’Europa in mutamento perenne.
Più che storia politica o sentimentale, una storia oggettiva di consumi, come se la vita degli individui si aggrappasse per definirsi anzitutto a quelli, e il resto, la storia con la maiuscola, fosse secondario pur nella sua gravità: incidenti di percorso nel flusso della vera vita. Con una distanza poco compiacente e poco pietosa, la vicenda delle due gemelle, dei loro genitori, dell’Europa che cresce e si fa ricca in cui nascono e muoiono è narrata con acuta intelligenza, constatazione dell’umana mediocrità ma in un’epoca precisa. Si pensa a
L’educazione sentimentale, a Una vita di Maupassant e davvero non è poco.
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