Thomas Wolfe, O lost
Elliot, 760 pagine, 29 euro
Ovvero Angelo, guarda il passato, che ci sembrò a suo tempo un grande romanzo e che scoprimmo dalla versione teatrale diretta da Visconti con una splendida Lilla Brignone e un poco credibile Corrado Pani (a Broadway: Jo Van Fleet e Anthony Perkins, negli anni dell’Actor’s studio).
Il mitico editor Maxwell Perkins, “consigliere” di Hemingway e Fitzgerald, aveva capito che il giovane provinciale Wolfe era geniale, incontrollabile e smisurato (anche fisicamente: era alto più di due metri) e seppe, lavorando con lui, portare il suo romanzo d’esordio da più di settecento pagine a una dimensione “vendibile” sacrificandone interi blocchi.
Il successo compensò entrambi, perché Wolfe (1900-1938) è tuttora considerato uno dei massimi scrittori americani del novecento, con i due già citati e con Dreiser e Faulkner. Gli altri suoi libri,
Il fiume e il tempo e La ragnatela e la roccia, ne confermarono qualità ed eccessi.
Pubblicare (e tradurre) l’O lost restaurato nell’originale – una saga familiare e nazionale su tre generazioni rivissuta da un narratore che fugge e che torna, che cerca e non trova, che ha nostalgia e a volte ribrezzo del suo mondo – è impresa encomiabile e generosa, era doveroso affrontarla ma non è stato un grande editore a farsene carico. Il ritorno di Wolfe è una delle vere “novità” di questa stagione.
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