Alberto Arbasino, Ritratti italiani
Adelphi, 552 pagine, 28 euro
“Meglio di un romanzo”. Scrittore finissimo, Arbasino ci regala una delle sue auto-antologizzazioni più istruttive: una storia d’Italia sregolata, più culturale e “centrale” che eterodossa e più giornalistica che saggistica, che ci conferma nell’ammirazione come nelle riserve per questo imprescindibile scrittore e personaggio. Ci sono tutti, in questi ritratti?
Mancano quelli di chi apparteneva a un mondo diverso da quello frequentato da uno scrittore sempre troppo “in” e “nel vento”, e che alla distanza risultano i rappresentanti di una diversità fortemente etica, studiosi e uomini d’azione che egli avrebbe ben potuto conoscere e ritrarre: da Parri a Olivetti (ma ci sono, molto timorati, gli incontri con Agnelli, Moro, Pertini, Umberto di Savoia), da Mazzolari a Milani (invece c’è Siri), da Salvemini a E. De Martino (ma per fortuna c’è Bobbio), da Morante e Ortese a Sereni e Giudici a Zanzotto e Rosselli. Non c’è, tra i boss, Eugenio Scalfari, che il monumento se lo fa da sé.
L’indice è rivelatore di logiche, curiosità, affinità. Consoliamoci: ci sono i grandi e gli ovvi e grandi marginali della cultura, che l’autore ha tutto il diritto di aver scelto di conoscere. Questi ritratti non bastano a “fare storia”, ma danno il quadro di un’epoca ricca di personaggi memorabili e di artisti, quella del boom e della progressiva italica decadenza.
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