La verità della menzogna
Javier Cercas, L’impostore
Guanda, 410 pagine, 20 euro
Superato il fastidio (lo stesso provato di fronte all’ultimo Carrère) per l’abuso dell’io e il racconto di tutti i passi di una ricerca, l’ultimo libro di Cercas, più vicino ad Anatomia di un istante che a Soldati di Salamina, conquista per la sua intelligenza e la sua onestà. Ben tradotto da Bruno Arpaia, L’impostore parte dal singolare caso di un antifranchista che alla caduta della dittatura si è inventato, su dati parzialmente veri, un’identità di ex internato di Mauthausen e ha fatto così una bella carriera di sopravvissuto, prima nel nuovo sindacato anarchico e poi nelle associazioni di reduci.
Il libro s’interroga sul perché di queste menzogne confrontandosi direttamente con il loro creatore. Come in un dialogo tra autore e personaggio di stampo pirandelliano – che tira in ballo A sangue freddo, Don Chisciotte e Dickens ma dimentica l’Orson Welles di F come Falso – Cercas gira ossessivamente attorno al senso dell’“impostura” di tante vite e di quella letteraria, e offre pagine ammirevoli sul mercato della memoria, che ha invaso la cultura contemporanea abusando in compiaciute mistificazioni. Dove cominciano e finiscono la verità e la menzogna? E non è tipico di tutti noi cercare di giustificare la nostra esistenza raccontandoci migliori di come siamo? Cercas difende la storia ma pratica l’invenzione, e ne conosce i trabocchetti e le ragioni.
Questa rubrica è stata pubblicata l’18 settembre 2015 a pagina 78 di Internazionale, con il titolo “La verità della menzogna”. Compra questo numero | Abbonati