Un futuro di profughi climatici
Bruno Arpaia, Qualcosa là fuori
Guanda, 220 pagine, 16 euro
Il romanzo di fantascienza in Italia non ha una grande storia e comprende un solo e imprevisto capolavoro, Lo smeraldo di Mario Soldati, che entrava nel genere dalla porta principale come cerca di fare oggi Arpaia affrontandone uno dei temi centrali, quello del dopo la catastrofe.
Arpaia sa di scienza, e le sue ipotesi ecologiche sono attendibili e di conseguenza agghiaccianti. In un futuro prossimo migliaia e migliaia di “profughi” involontari risalgono inquadrati l’Europa, dall’Italia alla Scandinavia, dove c’è ancora acqua e possibilità di vita. Arpaia alterna la cronaca pericolosa del futuro che è il presente della narrazione, meticolosamente precisa dal punto di vista geografico, a quel passato che è invece il nostro presente, tra America e Napoli, negli anni dell’incoscienza, oggi, quando il disastro si annuncia chiarissimo. E scrive senza fronzoli tra azioni e asciutti ragionamenti di un protagonista che è un vecchio ostinato e coraggioso, destinato alla morte una volta che ha portato in salvo le persone a cui lungo l’esodo si è legato.
Il messaggio non si fa mai predica, e non si strizza mai l’occhio al lettore. Si mira anzi ad appassionarlo mentre lo si angoscia. La suspense del romanzo si fonde con quella del memento mori a una civiltà. Modelli vicini l’immenso Ballard e, credo, John Christopher, ma anche gli scienziati più seri.
Questa rubrica è stata pubblicata il 24 giugno 2016 a pagina 84 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati