Commedia albanese all’italiana
Ylljet Aliçka, Il sogno italiano
Rubbettino, 186 pagine, 14 euro
Si pensa a che film sarebbero riusciti a tirar fuori Age & Scarpelli (e il Monicelli più acre e aggressivo) da questo romanzo, il cui titolo originale credo sia diverso da quello italiano. Si svolge negli ultimi due decenni dello scorso secolo, la prima parte in Albania (pronuncia: Albània) e la seconda in Italia. Si tratta infatti di una commedia (all’albanese e all’italiana!) che prende spunto da una storia vera, quella di alcuni albanesi che chiesero e ottennero rifugio nell’ambasciata italiana a Tirana subito dopo la morte di Enver Hoxha.
La prima parte racconta la permanenza di quei sei, sorelle e fratelli di una stessa famiglia, e il casino diplomatico che il caso suscitò nell’Albania post-Hoxha e nell’Italia di Craxi e di Andreotti. La seconda il loro arrivo in Italia, dopo la caduta dei muri. E segue la trafila burocratica e la dura realtà che riguarda i richiedenti asilo. Si ride amaro ma si ride, perché questa vicenda mette in rilievo il lato più assurdo e allo stesso tempo “normale” del mondo in cui viviamo, della storia recente come di quella odierna, tra burocrati e politici e vittime frastornate e incasinate, mettendo a confronto le speculari cattiverie del comunismo e del capitalismo. Aliçka è diplomatico in carriera ed è più sceneggiatore che scrittore ma, come nei racconti dei Compagni di pietra, sa di cosa parla, sa vedere e giudicare il nonsenso della Storia.
Questa rubrica è stata pubblicata il 26 agosto 2016 a pagina 83 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati