Guai a leggere troppo
Gentile bibliopatologo,
le scrivo perché mi accingo a rileggere Alla ricerca del tempo perduto per la terza volta; per una strana coincidenza a dieci anni dall’ultima e a venti dalla prima. Umberto Eco rilesse Sylvie di Gérard de Nerval per tutta la vita, ma con un’opera immensa come la Recherche la cosa non è possibile, così alla fine della seconda lettura ero convinto che sarebbe stata l’ultima. Qualche mese fa è uscito l’audiolibro in versione integrale: ecco l’occasione per soddisfare l’impellenza senza dover togliere tempo ad altre letture, sfruttando i tempi morti dei viaggi in auto. Mi ero illuso, stavo ancora ai preliminari del bacio della buona notte quando ho dovuto interrompere, non sopportavo di essere distratto da altre occupazioni, l’attenzione al traffico mi impediva di immergermi nel mondo proustiano. Le scrivo non per un aiuto a scongiurare la terza lettura, ormai inevitabile, ma per capire se e come evitare la quarta tra una decina d’anni.
-M.
Caro M.,
ma cosa vogliono, da noi, questi scrittori? A volte mi sembra proprio che esagerino. Prendi James Joyce, per esempio. Il critico Alfonso Berardinelli lo assegna al girone degli “scrittori dispotici e vampireschi che vogliono i lettori al loro servizio e fanno il possibile per colonizzarli, metterli a lavorare e magari punirli”. Ma Joyce non è certo l’unico:
Anche il sublime e mite Proust pretende troppo dal lettore: è uno scrittore che ti dà la vita, ma per avere la tua in cambio. Anche lui in fondo vorrebbe un lettore che non abbia nient’altro da leggere. Certo, qualcosa del genere si nota anche in Dante, Shakespeare, Balzac, Tolstoj. Ma loro aprono le porte al mondo appassionandosi alla sua irriducibile varietà: più che dispotici sono infinitamente accoglienti e ospitali. E Kafka? È vero che non risparmia al lettore nessuno dei suoi incubi. Ma la sua discrezione è pari a quella degli angeli, che ci vivono accanto senza farsi vedere. Kafka ha fatto il massimo: ci ha augurato di fare a meno dei suoi libri, chiedendo all’amico Max Brod di bruciarli. È innocente. È il contrario di Joyce che aveva in programma di tenere occupati per un secolo e far lavorare per lui i professori di letteratura.
A onor del vero gli anni di lavoro che Joyce aveva messo in preventivo perché i professori si spaccassero la testa sul Finnegans wake non erano cento ma trecento, ai quali oltretutto non possiamo fare la tara delle notti, visto che Joyce aveva in mente un lettore ideale “affetto da un’insonnia ideale”. Nemmeno i minatori ai tempi di Dickens.
Proust non ha mai preteso così smaccatamente di occupare secoli di fatica mentale altrui. Si dirà che l’ha ottenuto lo stesso, quanto e più di Joyce (sono pochi, in fin dei conti, quelli che sgobbano giorno e notte nelle cave del Finnegans wake). Ma a sua discolpa bisogna ricordare che ha consigliato l’esatto contrario. La lettura è una preziosa iniziatrice ai misteri della nostra interiorità, dice Proust, ma diventa pericolosa quando “in luogo di destarci alla vita personale dello spirito, tende a sostituirsi a questa” (Giornate di lettura). Insomma, guai a leggere troppo. Potrai obiettare che questa regale e cerimoniosa sprezzatura – la mitezza sublime di cui parla Berardinelli – mal si concilia con un romanzo in sette volumi, per un totale di un milione e mezzo di parole, che a ogni lettura si porta via mesi delle nostre vite. Ma sai come recita il detto: fate come dico, non fate come faccio.
Non credo, tuttavia, che tu possa risparmiarti la quarta e forse la quinta lettura. Quando uno lamenta che l’attenzione al traffico stradale gli impedisce di immergersi nel mondo proustiano – e non, semmai, che l’attenzione al mondo proustiano rischia di farlo incocciare in un lampione – è segno che nella Recherche ormai ci ha preso la residenza. L’unico consiglio che posso ancora darti è questo: quando sei con la testa a Combray, prendi il meno possibile la macchina.
Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it.