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Il feticcio del libro di carta

Élina Kapyro, EyeEm/Getty Images

Gentile bibliopatologo,
chi le scrive è un bibliotecario di professione con quasi vent’anni di carriera. Sono un maniaco dell’ordine (ovvia caratteristica del mio mestiere) ma questo per me si traduce spesso in una violenta smania di pulizia, potatura, decluttering. Lei non ha idea, dottore, di quanto mi piaccia BUTTARE VIA I LIBRI. Parlo di piacere fisico. Libri vecchi, obsoleti, rovinati, inutilizzati… godo di un piacere carnale nel tirarli via dagli scaffali ed eliminarli per sempre dalla mia collezione. Non le so descrivere il rilascio di endorfine che provo nel trovare un titolo inservibile e dire: scartiamolo. L’eliminazione fisica del libro mi eccita, mi riempie di euforia. Il fatto è che lavorare con i libri mi ha guarito da una malattia della nostra cultura: la sacralizzazione degli oggetti. Per questo, dottore, le scrivo con una preghiera: mi dica, c’è un elemento di salute in questa mia ossessione?

–Bibliotecario Non-Conservatore Frenetico

Caro Non-Conservatore,
per ragioni di spazio ho dovuto dimezzare la tua lunga lettera, ma ho avuto cura di conservare quella frase scritta tutta in maiuscolo, BUTTARE VIA I LIBRI. La considero il sintomo chiave della tua patologia. Hai mai visto il film Tenebre di Dario Argento? Nella prima scena vediamo una mano guantata di nero che regge un libro aperto. La voce fuori campo del regista ne scandisce alcune righe, la cui somiglianza con la tua lettera – maiuscole comprese – è quanto meno inquietante:

L’impulso era diventato irresistibile. C’era una sola risposta alla furia che lo torturava. E così commise il suo primo assassinio. Aveva infranto il più profondo tabù e non si sentiva colpevole né provava ansia o paura, ma libertà. Ogni ostacolo umano, ogni umiliazione che gli sbarrava la strada, poteva essere spazzato via da questo semplice atto di annientamento: l’OMICIDIO.

Finita la lettura, la mano misteriosa scaraventa il libro tra le fiamme. Ed è un dettaglio intrigante, perché il tabù dell’omicidio trova il suo perfetto equivalente, per il lettore nevrotico, nel tabù di buttare via i libri. Nel tuo caso manca l’aggravante della piromania, ma l’estasi quasi erotica dell’annientamento è la stessa descritta da Argento.

Mi spiace deluderti, ma per via di quelle maiuscole rivelatrici non posso impartirti l’assoluzione che speravi. È vero quel che scrivi, c’è un elemento di salute nel liberarsi della sacralizzazione dell’“oggetto di carta”. Ma tu non te ne sei liberato affatto. Se considerassi i libri oggetti tra gli oggetti, ordinarie suppellettili profane, non proveresti quell’eccitazione e quell’euforia, che derivano appunto dalla profanazione di qualcosa di sacro.

Il libro per te è ancora un feticcio arcaico, il Sacro Parallelepipedo, un totem circondato di tabù. Come membro assai qualificato del clan dei devoti del totem, a cui hai dedicato la tua vita professionale, non sei stato neppure lambito dalla secolarizzazione. Nei termini di Roger Caillois, tutto quello che hai fatto è convertirti dal “sacro di rispetto” al “sacro di trasgressione”. Ma sempre di sacro si tratta. O ancora, concedendoci un rapido passaggio in India, hai scantonato dalla via di Vishnu il Conservatore – alla cui sequela ogni bibliotecario dovrebbe votarsi – per metterti su quella di Shiva il Distruttore.

E così, forse, dovresti firmarti. Non sei un Non-Conservatore. Sei un Distruttore.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it.

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