La Malesia senza Anwar Ibrahim
La democrazia in Malesia dipende davvero da Anwar Ibrahim? Se è così, i trenta milioni di malesi hanno un problema. Ibrahim, infatti, è di nuovo in galera. Il leader dell’opposizione resterà in cella per almeno cinque anni, e per altri cinque non potrà svolgere attività politica. Ibrahim ha provato a minimizzare: “Non mi interessa se sono cinque anni o dieci, possono anche darmene venti. Non me ne frega niente”.
Ma in realtà gli importa eccome. Quando sarà libero di tornare a fare politica avrà almeno 77 anni. L’Alleanza del popolo, la coalizione di tre partiti da lui creata, non può permettersi di aspettare dieci anni e deve trovare il modo di restare unita senza il suo leader.
Ufficialmente la Malesia è una democrazia, ma dal 1957 è governata dalla stessa coalizione di partiti, il Fronte nazionale. Nelle elezioni del 2008 e del 2013, però, la coalizione di Ibrahim ha messo in seria difficoltà il Fronte nazionale. Nel 2013 l’opposizione ha ottenuto la maggioranza dei voti, ma la coalizione al potere ha comunque conquistato la maggioranza dei seggi in parlamento.
Il 9 febbraio la corte federale ha dichiarato Ibrahim colpevole di sodomia (che in questo paese a maggioranza musulmana è un reato) e lo ha mandato in galera. In precedenza Ibrahim era stato assolto, e molti sospettano che il procuratore abbia fatto ricorso in appello per passare il caso ai tribunali superiori, più influenzabili politicamente. In altre parole, si sono sbarazzati del nemico.
Ibrahim era già stato accusato di sodomia nel 1998, meno di un mese dopo che era stato rimosso dalla carica di vicepremier. La sua rapida ascesa era dovuta al sostegno del primo ministro Mahathir bin Mohamad. Poi però aveva perso il favore di Mahathir, secondo lui per averlo accusato di usare fondi pubblici per salvare le attività commerciali dei figli e degli amici.
In ogni caso il partito al potere aveva tutto l’interesse a liberarsi di Ibrahim. Non c’era bisogno di ucciderlo, la galera sarebbe bastata a tenerlo tranquillo. Già allora molti malesi pensavano che l’accusa di sodomia fosse una copertura per un attacco politico.
Ibrahim fu condannato sulla base di prove estremamente contraddittorie a nove anni di carcere, ma fu rilasciato nel 2004 dopo che la corte d’appello rovesciò il verdetto. Subito cercò di unire i partiti di opposizione e creare una coalizione che potesse sfidare il Fronte nazionale.
Nel 2008 l’Alleanza del popolo ottenne abbastanza voti da spaventare il governo. Ma un paio di mesi dopo, per una bizzarra coincidenza, furono mosse nuove accuse di sodomia contro Ibrahim. Ancora una volta le “prove” erano inconsistenti, e per di più l’uomo che sarebbe stato “sedotto” da Ibrahim si era incontrato con il primo ministro Najib Razak (del Fronte nazionale) due giorni prima di sporgere denuncia.
Il secondo processo durò quattro anni, e nel 2012 Ibrahim fu assolto in quanto (sono parole del giudice) “il tribunale è sempre riluttante a condannare un individuo per reati sessuali se non ci sono prove sostanziali”. Ma il procuratore presentò immediatamente richiesta di appello, e il 9 febbraio è arrivata la condanna.
Secondo la corte federale le prove contro il leader dell’opposizione sono “schiaccianti”, pur essendo le stesse che erano state considerate inconsistenti nel primo processo. Ibrahim è di nuovo in galera, e tutti in Malesia si chiedono quale sarà l’effetto della sentenza sull’ascesa dell’Alleanza del popolo, che finora sembrava inarrestabile.
L’Alleanza del popolo è una strana coalizione tra due partiti laici, che vogliono porre fine a un sistema discriminatorio nei confronti dei diversi gruppi etnici e religiosi, e un partito islamista, che vorrebbe creare uno “stato islamico” in un paese dove solo il 60 per cento della popolazione è musulmano. Ibrahim è riuscito a tenere insieme i tre partiti, ma il governo sembra convinto che senza il suo leader l’Alleanza si scioglierà presto.
Appena metà della popolazione è di etnia malese, e la maggior parte degli altri discende da immigrati cinesi o indiani arrivati negli ultimi due secoli. Questi ultimi sono mediamente più ricchi dei cittadini di etnia malese, e la maggior parte di loro non è musulmana. Di conseguenza l’etnia malese si sente sfruttata e minacciata.
Per questo motivo, dopo le terribili rivolte del 1969 il sistema politico è stato progettato per concedere ai malesi evidenti vantaggi sul piano dell’istruzione e delle opportunità di lavoro. Questo alimenta il risentimento degli altri e crea tutta una serie di problemi che l’Alleanza del popolo (o almeno buona parte di essa) vorrebbe risolvere cancellando i privilegi dell’etnia malese. Una svolta simile, però, sarebbe complicata e pericolosa.
Se l’Alleanza del popolo non riuscirà a restare unita anche senza Anwar Ibrahim, sarà impossibile mettere fine al dominio del Fronte nazionale e non ci saranno più speranze di superare le divisioni settarie ed etniche che hanno permesso alla coalizione di governo di inanellare tredici vittorie elettorali consecutive.
Purtroppo il futuro della Malesia potrebbe essere questo. Nel mondo reale l’imbroglio e la crudeltà vincono spesso sull’idealismo e l’entusiasmo.
(Traduzione di Andrea Sparacino)