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Il rimorso degli elettori britannici dopo la Brexit

Una manifestazione a Londra contro l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, il 28 giugno 2016. (Jeff J Mitchell, Getty Images)

Tutto il mondo della politica britannica è sotto shock, ora che si è materializzata la necessità di negoziare l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Nel caso di Boris Johnson, un affascinante opportunista che ha guidato la campagna per la Brexit nella speranza di prendere il posto di David Cameron come primo ministro, la prospettiva di dover guidare questi negoziati è stata così spaventosa da costringerlo alla paralisi.

Questo ha dato a Michael Gove, l’altro leader della campagna per la Brexit, una scusa per pugnalare Johnson alla schiena, diventando il principale candidato, tra quelli del fronte del leave (lasciare), per la guida del Partito conservatore, come è puntualmente accaduto giovedì mattina. Gove ci crede davvero, ma non ha il carisma di Johnson ed è quindi probabile che il prossimo primo ministro conservatore sarà Theresa May, che era a favore della permanenza nell’Unione europea.

La maggioranza dei parlamentari conservatori è sconvolta dall’esito del referendum, ma questo vale ancora di più per gli elettori favorevoli alla Brexit. Le proporzioni del rimorso negli elettori sono tali che, se il referendum dovesse tenersi oggi, l’esito sarebbe probabilmente opposto. Ma è difficile immaginare che sia convocata una nuova consultazione.

È quindi probabile che il processo di uscita del Regno Unito dall’Unione europea andrà comunque avanti, anche se a passo di lumaca. E anche se è ormai chiaro che la maggior parte delle promesse fatte dai sostenitori del leave sul luminoso futuro del Regno Unito al di fuori dall’Unione europea siano solo menzogne. “Ci sono un sacco di cose che sono state dette prima del referendum e alle quali ci piacerebbe poter ripensare”, ha ammesso l’ex ministro conservatore Liam Fox, sostenitore del leave.

L’Unione europea non darà prova di generosità e pazienza nei negoziati

Un punto sul quale tutti gli aspiranti primo ministro convengono è che il Regno Unito non dovrebbe cominciare a negoziare la sua uscita ora. Forte di questa convinzione, Cameron ha promesso di restare in carica fino a ottobre, per dare al Partito conservatore il tempo di trovare un nuovo leader, e promettendo di non attivare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona durante questo periodo.

L’articolo 50 è quello che darebbe avvio al negoziato per l’uscita dall’Unione europea. Il problema è che non esiste alcun accordo neppure su quello che il Regno Unito dovrebbe chiedere, figuriamoci su quello che potrebbe ottenere. Evitando di dare avvio al negoziato per mesi, Cameron farà sì che, con il passare del tempo, le dolorose conseguenze della Brexit diventino orribilmente chiare. Forse spera di poter provocare un ampio ripensamento. E forse ci riuscirà.

Ma tutte queste paure e rimorsi riusciranno davvero a invertire il processo? Lasciato solo per sei mesi, il Regno Unito potrebbe raggiungere un confuso compromesso con i leader europei che rimanderebbe all’infinito la rottura definitiva. Ma è difficile che a Londra vengano concessi sei mesi.

Appare chiaro che l’Unione europea non darà prova di generosità e pazienza nei negoziati. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha dichiarato al Bundestag che l’Europa non concederà alcuna scelta ai britannici quando cominceranno i negoziati su temi come il commercio e la libera circolazione delle persone. “Dobbiamo fare e faremo una grossa differenza tra il paese che vuole essere membro dell’Unione europea e il paese che non lo desidera”, ha detto.

Sono anni che gli altri paesi dell’Unione mostrano impazienza nei confronti del comportamento del Regno Unito. Londra è sempre stata una sorta d’intruso che chiedeva l’esenzione da leggi e accordi, sconti sui contributi al bilancio e trattamenti speciali d’ogni tipo. E anche ora che ha “deciso” di uscire (per così dire), continua a comportarsi allo stesso modo, chiedendo a tutti gli altri di restare in attesa mentre lei risolve i suoi problemi politici interni.

Entrambi i principali partiti politici britannici sono di fatto senza leader

“Tutta l’Unione europea è stata presa in ostaggio da uno scontro interno al Partito conservatore britannico”, ha dichiarato Martin Schultz, presidente del Parlamento europeo. “E oggi non sono felice di sentire che (Cameron) vuole dimettersi a ottobre, tenendo tutti in sospeso finché i conservatori non avranno preso una decisione sul prossimo primo ministro”.

Tanto per peggiorare le cose, anche i laburisti, che sono all’opposizione, stanno sprofondando nel caos, con il loro leader Jeremy Corbyn che deve affrontare una fronda interna per il suo sostegno troppo tiepido alla campagna per il remain, che è forse la principale ragione della vittoria della Brexit (la metà dei sostenitori del Partito laburista non sapeva neppure che il proprio partito fosse a favore della permanenza nell’Unione europea). Entrambi i principali partiti politici britannici, per ora, sono di fatto senza leader.

La politica britannica è allo sfascio. Non è in grado e si rifiuta di rispondere alle richieste dell’Europa, che vuole un’azione rapida. L’Ue non può permettersi di aspettare cinque o sei mesi prima che comincino i negoziati. I mercati hanno bisogno di certezze sul futuro per evitare il tracollo e, in un modo o nell’altro, i leader dell’Unione europea cercheranno di offrirgliele. Il divorzio si annuncia davvero sgradevole.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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