Siamo alla vigilia della terza guerra mondiale?
Nel 1852 Karl Marx scrisse: “Hegel nota in un passo delle sue opere che tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire, due volte. Ha dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa”. Preferiremmo tutti una farsa a una tragedia, quindi speriamo che Marx abbia ragione. Ma si è già sbagliato qualche volta in passato, e quindi dobbiamo prendere in considerazione la possibilità che quel che ci attende sia proprio una tragedia.
La “prima volta”, in questo caso, sono stati gli anni trenta del novecento, quando la lentezza della ripresa dopo il crac finanziario del 1929 portò alla polarizzazione politica, a una disperata guerra commerciale e all’ascesa di leader antidemocratici e ultranazionalisti in vari paesi. Le conseguenze furono la seconda guerra mondiale, i campi di sterminio, la bomba atomica e quarant’anni di guerra fredda.
La lista dei problemi
Quanto a noi, abbiamo avuto il nostro tracollo finanziario globale nel 2008 e la ripresa è sicuramente lenta. Il reddito medio in molti paesi occidentali non è ancora tornato ai livelli precedenti al 2008 e la crescita del nazionalismo e del razzismo è evidente in paesi come il Regno Unito, la Francia e soprattutto gli Stati Uniti.
L’ondata di rivoluzioni democratiche e non violente che ha trasformato molti paesi in via di sviluppo alla fine della guerra fredda si è conclusa con il fallimento delle primavere arabe, che hanno prodotto una nuova dittatura in Egitto e guerre civili in tutto il Medio Oriente. In alcune parti dell’Asia la tendenza si è addirittura rovesciata (un regime militare in Thailandia, squadroni della morte agli ordini di governi populisti regolarmente eletti nelle Filippine e in Indonesia).
Forze autoritarie, ultranazionaliste e ostili all’Unione europea sono salite al potere nell’Europa orientale postcomunista (i partiti Fidesz in Ungheria e Diritto e giustizia in Polonia). Inoltre si profila una guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, indipendentemente da chi vincerà le elezioni presidenziali statunitensi a novembre.
Alla lista dei problemi potreste aggiungere Xi Jinping, il presidente cinese più autoritario e nazionalista dai tempi di Mao, e Shinzo Abe, il primo ministro giapponese che vuole eliminare la clausola pacifista dalla costituzione. Senza dimenticare il presidente russo Vladimir Putin e il suo modo spericolato di gestire le più delicate questioni di politica internazionale.
È in corso uno spostamento del centro di gravità dell’economia mondiale, e molte cose cambieranno
In effetti la lista è lunga. Ma questo significa che siamo tornati al 1936 (con i fascisti al potere in Germania, Italia e Giappone, la guerra civile in Spagna, le grandi purghe in Unione Sovietica), a soli tre anni di distanza da una catastrofica guerra mondiale? Oppure si tratta solo di un’accozzaglia di problemi, fallimenti e preoccupazioni locali, come è inevitabile che sia in un mondo composto da quasi duecento stati indipendenti? Probabilmente la seconda.
I partiti di destra e di sinistra sono una parte legittima e inevitabile di qualsiasi società democratica, ma entrambi tendono a degenerare e a trasformarsi in versioni più estreme e paranoiche nei momenti di crisi economica. Sarebbe errato, tuttavia, pensare che i tempi che viviamo siano davvero così foschi.
Lontani dalla catastrofe
Oggi chi se la passa davvero male, nella maggior parte dei paesi sviluppati, è la vecchia classe operaia penalizzata dalla globalizzazione, da cui gli estremismi di destra traggono buona parte del loro sostegno. Ma non sono abbastanza numerosi da prendere il controllo di un paese: Trump non vincerà a novembre, il Front national non vincerà le elezioni francesi nel 2017 e i fautori della Brexit nel Regno Unito… Be’, questo è tutto da vedere.
Il Medio Oriente è un disastro, naturalmente, ma è un disastro piuttosto isolato, se si escludono gli attacchi terroristici di portata ridotta che ogni tanto colpiscono i paesi occidentali. Vivere nel timore di un califfato islamico globale è assurdo quanto sognarlo.
In Africa e in America Latina la democrazia non è in crisi, e in Asia le buone e le cattive notizie più o meno si bilanciano (un regime militare in Thailandia e governi autoritari nelle Filippine e Indonesia, ma anche più democrazia in Birmania e Sri Lanka). E non dovremmo vedere il trionfo di un paio di partiti ultranazionalisti in paesi dell’Europa orientale tradizionalmente nazionalisti come un presagio di quello che attende il resto d’Europa.
Questo non significa che l’Unione europea sopravvivrà a lungo termine senza alcuni fondamentali cambiamenti. È in corso uno spostamento di proporzioni storiche del centro di gravità dell’economia mondiale dal mondo nordatlantico all’Asia, e di conseguenza molte cose cambieranno.
Può darsi che prima o poi gli Stati Uniti e la Cina finiranno per avere una qualche forma di scontro militare: si tratta di un rischio implicito in un trasferimento di potere come quello cominciato all’inizio del ventunesimo secolo. Ma non siamo sull’orlo di una enorme catastrofe mondiale. Siamo nel 2016, non nel 1936.
(Traduzione di Federico Ferrone)