Anche distruggere i monumenti è un crimine di guerra
Nessuno è stato punito per aver fatto saltare nel 2001 le gigantesche statue buddiste della valle di Bamiyan, in Afghanistan. Nessuno è finito in prigione per aver distrutto gran parte dell’antica città di Palmira, in Siria, dopo che il gruppo Stato islamico l’aveva conquistata nel maggio 2015 (per poi esserne cacciato nel marzo 2016). Eppure Ahmed al Mahdi, che pure si dice pentito di quel che ha fatto, sconterà una lunga condanna per aver distrutto i monumenti religiosi di Timbuctù.
Apparso di fronte al Tribunale penale internazionale dell’Aja il 22 agosto, questo ex funzionario del ministero dell’educazione nazionale del Mali ha dichiarato: “Tutte le accuse che mi vengono rivolte sono corrette e fondate. Sono davvero dispiaciuto e mi pento di tutti i danni causati dalle mie azioni”.
Ed effettivamente ha causato non pochi danni. Oggi Timbuctù è uno sperduto avamposto nel deserto, con meno abitanti di quanti erano gli studenti, venticinquemila, che frequentavano la sua celebre università islamica all’epoca del suo massimo splendore, nel sedicesimo secolo. I suoi antichi monumenti e moschee sono di un tale valore storico che Timbuctù (come Bamiyan e Palmira) era stata dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Il grande tesoro di Timbuctù erano le sue decine di migliaia di manoscritti prodotti tra il dodicesimo e il sedicesimo secolo, riguardanti argomenti disparati quali letteratura, diritti umani, musica, filosofia e gestione degli affari.
Opera completata
Quando Al Qaeda nel maghreb islamico (Aqmi) entrò a Timbuctù nel 2012, l’eroico bibliotecario Adbel Kader Haidara ha salvato il 95 per cento dei manoscritti trasportandoli in auto e in barca a Bamako, la capitale del Mali. Ma le moschee e i mausolei non potevano essere trasportati, e Ahmed al Mahdi è stato incaricato di guidare la “polizia morale”. Uno dei suoi compiti era demolire le costruzioni “idolatre”.
Al Mahdi, nato vicino a Timbuctù, era già un seguace del wahabismo, una corrente fondamentalista dell’islam nata in Arabia Saudita che condanna come idolatria la reverenza per i mausolei e i santuari religiosi. Per proteggere le persone dal peccato, edifici, tombe e altre costruzioni storiche devono essere distrutti. A casa loro, alla Mecca, i wahabiti hanno praticamente completato l’opera.
L’Aqim, come l’Is e i taliban, è “salafita” per quanto riguarda i suoi princìpi, ma il salafismo è sostanzialmente una versione più feroce del wahabismo. Al Mahdi era quindi una recluta perfetta per l’Aqim, e si è lanciato nel suo nuovo lavoro con entusiasmo. È accusato di aver distrutto nove mausolei e parte di una moschea, ma la sua opera di vandalismo è stata quasi sicuramente più ampia.
Le truppe francesi e maliane hanno cacciato Al Qaeda da Timbuctù nel 2013, e Al Mahdi è stato catturato poco dopo. Come capo della polizia morale era responsabile del flagellamento di fumatori, bevitori e donne “impure”, della lapidazione delle adultere e dell’esecuzione degli “apostati”, ma l’accusa che il Tribunale penale internazionale (Icc) ha deciso di imputargli è quella di “distruzione del patrimonio culturale”.
Alcuni temono che estendere la categoria di crimini di guerra possa svalutare i reati di tortura, omicidio e genocidio
Si tratta di una prima volta per l’Icc, la corte permanente che si occupa dei crimini di guerra di tutto il mondo. Finora si era occupata solo di violenza contro le persone, non contro le cose. Anche se si tratta di cose sacre per molte persone, alcuni temono che estendere la categoria di crimini di guerra possa svalutare i reati di tortura, omicidio e genocidio, crimini così orribili da meritare un’azione internazionale qualora i tribunali locali non sono in grado di giudicarli. È stato il Mali a chiedere che il processo contro Al Mahdi fosse trasferito all’Icc, ma la questione merita comunque di essere esaminata.
A dare una risposta non sarà Al Mahdi, che vuole solo chiedere scusa: “Chiedo perdono (al popolo di Timbuctù) e gli chiedo di giudicarmi come un figlio che ha smarrito la strada”. Forse è sincero, o forse è solo un patteggiamento. Il pubblico ministero ha chiesto una condanna compresa tra nove e undici anni di prigione, anche se il massimo della pena è di trent’anni. Ma la vera domanda non è se il suo pentimento sia sincero o meno.
Questo crimine ha radici molto profonde. Nell’Egitto del quarto secolo bande di monaci cristiani (i primi “iconoclasti”) staccarono i nasi di tutte le statue “pagane” che riuscirono a trovare. Nel Messico del sedicesimo secolo i missionari cattolici bruciarono migliaia di libri illustrati che contenevano la storia e la mitologia delle civiltà precolombiane: ne sono sopravvissuti meno di venti.
Un crimine sempre e ovunque
I vandali jihadisti di oggi appartengono a una lunga tradizione, e nessuno dei loro predecessori è stato punito. Si può quindi dire che oggi l’Icc si stia semplicemente accanendo contro dei musulmani? No. Il reato di genocidio è stato introdotto solo tra il 1945 e il 1946 ai processi di Norimberga, nonostante la storia sia piena di altri genocidi. Ma il mondo non si stava accanendo contro i tedeschi. Avevamo semplicemente raggiunto un punto della nostra storia nel quale potevamo finalmente convenire sul fatto che il genocidio era, sempre e ovunque, un crimine contro l’umanità.
Rendere un crimine l’atto di distruggere volontariamente il patrimonio culturale non è altro che un altro passo, per quanto minore, nello stesso cammino verso la costruzione di un corpus internazionale legale sui diritti umani che sia valido per tutti. Al Mahdi è semplicemente arrivato nel momento sbagliato.
(Traduzione di Federico Ferrone)