Le scommesse rischiose del principe saudita Mohammed bin Salman
Alla fine del 2015 i servizi d’intelligence tedeschi (Bnd) erano così preoccupati dal nuovo vice principe ereditario e ministro della difesa dell’Arabia Saudita, Mohammed bin Salman, 31 anni, da lanciare un avvertimento al governo: “La tradizionale prudenza della famiglia reale è stata sostituita da una politica interventista impulsiva”.
Il principe Mohammed era in carica da appena un anno, ma aveva già lanciato un massiccio intervento militare nella guerra civile yemenita e aveva spinto l’Arabia Saudita a sostenere apertamente i ribelli nella guerra civile siriana. Aveva anche preso l’audace decisione di mantenere alta la produzione petrolifera, lasciando che il prezzo del petrolio crollasse. Non stupisce che il Bnd abbia definito il principe “un giocatore d’azzardo”. E per di più è un giocatore che scommette sui cavalli sbagliati.
La prima scommessa fallita è stata intervenire nello Yemen con una campagna di bombardamenti aerei che ha ucciso almeno diecimila yemeniti (circa metà dei quali civili) ed è costata all’Arabia Saudita decine di miliardi di dollari. Il principe Mohammed bin Salman (o Mbs, com’è chiamato negli ambienti diplomatici) aveva promesso un intervento rapido e limitato che avrebbe sconfitto i ribelli houthi e riportato al potere l’ex presidente Abd Rabbo Mansur Hadi. La cosa si è trasformata in una lunga guerra di logoramento: gli houthi controllano ancora la capitale Sanaa, e Hadi non tornerà a casa presto.
Il sostegno dell’Arabia Saudita ai ribelli siriani è svanito quando l’esercito ha riconquistato Aleppo
La seconda grande scommessa del principe, il sostegno ai ribelli siriani, è fallita a dicembre, quando l’esercito siriano ha riconquistato Aleppo con l’aiuto dell’Iran e della Russia. I ribelli non controllano più nessuna delle principali città siriane, e l’Arabia Saudita dovrà accettare che Bashar al Assad resti al potere. Ma la principale scommessa di Mbs è il progetto di ripristinare il dominio saudita sui mercati petroliferi mondiali, mandando in bancarotta i nuovi concorrenti, i produttori statunitensi che estraggono petrolio dalle rocce di scisto tramite il fracking.
In otto anni il fracking aveva raddoppiato la produzione petrolifera statunitense, ma aveva anche creato un eccesso di offerta che stava abbassando il prezzo del petrolio. Poi il principe ha deciso di peggiorare ulteriormente le cose. Ha calcolato che i produttori statunitensi, i cui costi di estrazione sono più alti di quelli sauditi, sarebbero falliti se il prezzo del petrolio fosse rimasto basso a lungo. Quindi l’Arabia Saudita ha mantenuto a livelli elevati la sua produzione di petrolio, convincendo gli altri stati dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec) a fare lo stesso.
Miliardi di dollari in fumo
Negli ultimi due anni il prezzo del petrolio è sceso diverse volte sotto i trenta dollari al barile, mentre nel 2014 aveva toccato il picco di 114 dollari, ma le cose non sono andate secondo i piani di Mbs. I fracker statunitensi hanno sospeso temporaneamente le loro operazioni meno redditizie e alcune delle aziende più piccole sono effettivamente fallite. Ma i sopravvissuti sono pronti ad aumentare nuovamente la produzione appena il prezzo del petrolio risalirà. Nel frattempo l’Arabia Saudita ha bruciato circa cento miliardi di dollari all’anno di riserve monetarie per mantenere servizi e sussidi statali.
A novembre il principe ha ammesso la sconfitta. L’Arabia Saudita e i suoi partner dell’Opec hanno accettato di tagliare la produzione di 1,2 milioni di barili al giorno, mentre Russia e Kazakistan hanno contribuito con un altro mezzo milione di barili in meno al giorno. Il prezzo del petrolio è risalito a 55 dollari al barile. Le entrate dell’Arabia Saudita sono migliorate e le tensioni politiche interne legate al taglio degli stipendi e dei sussidi si sono allentate. Ma oggi molti si chiedono a cosa sia servito tutto questo.
Meritare l’incarico
Il principe non è uno stupido. Avrebbe dovuto sapere che gli interventi stranieri nello Yemen di solito falliscono, che l’intervento russo in Siria avrebbe probabilmente significato la vittoria di Assad e che i fracker statunitensi erano probabilmente in grado di aspettare che la sua strategia fallisse. E forse sapeva tutto questo.
Il problema è che Mohammed bin Salman ha fretta di ottenere risultati. Se è arrivato così in alto a un’età così giovane è solo grazie al sostegno di suo padre, re Salman, salito al trono nel gennaio del 2015. Ma il re ha 81 anni e suo figlio non è sicuro di essere il suo erede. Di solito il successore al trono saudita non è il figlio del re, ma un principe di alto rango scelto dai suoi pari come il più adatto a regnare. L’attuale principe ereditario è Mohammed bin Nayef, che ha 53 anni. Il titolo di vice principe ereditario non esisteva prima, e anche questo Mbs lo deve a suo padre.
Per avere qualche possibilità di salire al trono quando Salman morirà, il principe Mohammed bin Salman deve dimostrare in fretta di meritare l’incarico. Per questo si è lanciato in scommesse così rischiose e con una posta in gioco così alta: se ottenesse un grande successo potrebbe centrare il suo obiettivo. E quindi c’è da aspettarsi che presto lancerà di nuovo il dado.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è stato pubblicato il 17 febbraio 2017 a pagina 34 di Internazionale con il titolo “Un giocatore d’azzardo alla corte saudita”. Compra questo numero | Abbonati