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L’improbabile ballottaggio francese

Gli undici candidati alle presidenziali francesi durante un dibattito televisivo a Saint-Cloud, vicino a Parigi, il 20 aprile 2017. (Martin Burea, Reuters/Contrasto)

Ecco come funzioneranno le elezioni presidenziali in Francia. Il voto del 23 aprile determinerà i due principali candidati, che avranno poi a disposizione altre due settimane per fare campagna in vista del ballottaggio. Ma i quattro principali candidati sono attualmente così vicini nei sondaggi che qualsiasi coppia di pretendenti potrebbe arrivare al secondo turno. Compresi due inquietanti personaggi.

Le trasformazioni e combinazioni possibili sono incredibilmente complesse. Un giornalista ha così sintetizzato l’ultimo tentativo dei sondaggisti di prevedere l’esito del secondo turno: “Macron vincerebbe il ballottaggio con qualsiasi sfidante, mentre Le Pen perderebbe con chiunque. Mélenchon sconfiggerebbe chiunque tranne Macron, e Fillon perderebbe con tutti tranne Le Pen”.

Il punto, tuttavia, è che nessuno sa quale coppia di candidati arriverà effettivamente al secondo turno. A tutti e quattro i principali contendenti è attribuita una percentuale di voti compresa tra il 19 e il 22 per cento, una differenza praticamente equivalente al margine d’errore dei sondaggi. Considerando, inoltre, che un terzo degli elettori dichiara di essere ancora indeciso.

La tentazione dell’estremismo di destra
Esistono quindi sei esiti possibili per il voto di domenica. Uno di questi, non meno realistico degli altri, vedrebbe una fascista e un criptocomunista contendersi la presidenza al secondo turno.

Due dei candidati, Emmanuel Macron e François Fillon, sono decorosi politici centristi dalle caratteristiche analoghe a quelle tradizionali dei presidenti francesi. Macron, un ex banchiere d’investimento, ha un piglio più moderno ed è una sorta di Justin Trudeau francese, ma nessuno dei due rappresenta una reale minaccia per lo status quo.

Marine Le Pen ha ereditato il Front national da suo padre Jean-Marie Le Pen, che lo ha fondato nel 1972, come movimento xenofobo, ultranazionalista e neofascista. Jean-Marie Le Pen ha fatto di tutto per scandalizzare l’opinione pubblica, spingendosi fino a negare la Shoah, ma quindici anni fa era riuscito ad arrivare al ballottaggio presidenziale.

Ma non si era andato oltre. Gli elettori di tutti gli altri partiti si erano compattati a favore del candidato rivale, Jacques Chirac (alcuni turandosi naso, visto che uno slogan dell’epoca recitava: “Votate per il truffatore, non per il fascista”), e Le Pen fu sonoramente sconfitto, ottenendo solo il 18 per cento dei voti al secondo turno. Questo ha fatto capire a sua figlia che l’antisemitismo non paga più. Ma la retorica islamofoba sì, come anche il nazionalismo estremista.

Se la Francia seguisse l’esempio del Regno Unito, uscendo dall’Ue, probabilmente l’Unione non sopravviverebbe

“La mia prima misura, quando sarò presidente, sarà ripristinare i confini francesi”, ha dichiarato Marine Le Pen questa settimana. Dimostrandosi più trumpista di Trump, ha promesso di bloccare immediatamente l’immigrazione in Francia, e di concedere l’ingresso solo a diecimila persone all’anno quando il divieto totale sarà ammorbidito. Ha anche promesso di fare uscire la Francia dalla moneta unica e di organizzare un referendum in stile Brexit sull’uscita dall’Unione europea.

Se la Francia seguisse l’esempio del Regno Unito, uscendo dall’Ue, è probabile che l’Unione non sarebbe in grado di sopravvivere. Con l’uscita della seconda e terza economia dell’Ue, la Germania avrebbe una posizione troppo dominante rispetto agli altri 25 paesi, con i quali i rapporti sarebbero a quel punto insostenibili. E senza la disciplina data dall’appartenenza all’Ue, è probabile che i paesi membri dell’Europa orientale sprofonderebbero nella repressione interna e in conflitti internazionali.

La proposta di cambiamenti radicali
Anche Jean-Luc Mélenchon, l’altro candidato su posizioni di estrema sinistra, non ama l’Unione europea. Dice che preferirebbe cambiare radicalmente l’Ue più che uscirne, ma in pratica non è meno nazionalista di Le Pen, e molto più radicale dal punto di vista sociale. Da studente era un militante trotskista.

Oggi Mélenchon è solo un politico di sinistra. Ma davvero molto di sinistra. Vuole uscire dalla Nato, dall’Organizzazione mondiale del commercio, dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca mondiale, tutte organizzazioni definite “strumenti di un capitalismo globale allo sfascio”. Vuole limitare lo stipendio dei manager a venti volte il salario del loro impiegato meno pagato, imponendo un tetto massimo di 400mila euro di stipendio, sopra il quale si pagherebbe il 90 per cento di tasse.

Il suo entusiasmo nei confronto di Putin è lo stesso dimostrato da Trump fino a pochi mesi fa. È anche un sostenitore dell’ex presidente venezuelano Hugo Chávez (una figura che Trump non ammira apertamente, ma di cui imita da vicino lo stile politico). Mélenchon è sveglio, innovativo, e anche divertente. “Ancora una volta stanno annunciando che la mia elezione scatenerà un inverno nucleare, una pioggia di rane, l’ingresso dei carri armati sovietici e l’arrivo dei venezuelani”, ha scritto di recente in un blog. Nella realtà non succederebbe niente del genere, naturalmente, ma la sua elezione modificherebbe in maniera radicale lo scenario politico europeo.

Quali sono quindi le probabilità di un apocalittico ballottaggio tra Le Pen e Mélenchon? Forse una su sei, visto che gli elettori possono esprimere solo una preferenza. E chi vincerebbe il ballottaggio? Probabilmente Mélenchon, perché ci sono più probabilità di spingere le persone a turarsi il naso e votare per un ex trotskista rispetto a quelle che ha Le Pen di convincerle a votare per la figlia (impenitente) di un fascista.

I trotskisti, dovete sapere, non hanno mai invaso la Francia.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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