Cosa aspettarsi dal vertice tra Kim Jong-un e Donald Trump
Da una a dieci, quante sono le possibilità che l’incontro tra il leader nordcoreano Kim Jong-un e il presidente statunitense Donald Trump del prossimo 27-28 febbraio in Vietnam (o un loro qualsiasi incontro futuro) si chiuda con un chiaro e irreversibile impegno per la “denuclearizzazione” della Corea del Nord? Zero.
E quante possibilità ci sono che questo vertice (a cui si aggiungeranno un sacco di ulteriori negoziati) possa significativamente ridurre la minaccia di una guerra tra i due paesi e tra le due Coree? Piuttosto alte, in realtà.
Kim Jong-un, come suo padre e suo nonno prima di lui, ha dedicato moltissimo tempo e denaro per fornire alla Corea del Nord un efficace deterrente contro Washington, il che implica la capacità di colpire il territorio degli Stati Uniti. Può darsi che accetti di sottoscrivere molti altri accordi, ma non cederà mai su questo punto.
La Corea del Nord non ha bisogno di raggiungere le stesse capacità nucleari degli Stati Uniti – essere in grado di fare arrivare anche solo alcune armi atomiche sul territorio statunitense sarebbe un deterrente sufficiente – ma Kim sa bene cosa è accaduto a Muammar Gheddafi e a Saddam Hussein, due capi di stato morti entrambi perché non possedevano armi nucleari.
L’unica strada sicura per il futuro è quindi un accordo politico che riduca le tensioni tra i due paesi
Non c’è nessun accordo che proteggerebbe la Corea del Nord dalle armi nucleari statunitensi, che potrebbero raggiungere il paese direttamente dall’America. Nessun tipo di ritiro militare, che sia quello delle truppe di Washington dalla Corea del Sud o perfino quello delle armi nucleari statunitensi da tutta l’Asia orientale, potrebbe cambiare questa realtà, e gli Stati Uniti non prevedono di rinunciare al loro deterrente nucleare strategico.
L’unica strada sicura per il futuro è quindi un accordo politico che riduca significativamente le tensioni tra i due paesi e al contempo riconosca che, tra i due paesi, non possa che prevalere uno stato di deterrenza nucleare reciproca.
La condizione di deterrenza reciproca è quella che da tempo si è instaurata tra gli Stati Uniti e le due potenze rivali, la Russia e la Cina. Il fatto che vi sia una profonda asimmetria di potenza tra gli Stati Uniti e la Corea del Nord non porta a una conclusione diversa. Le armi nucleari sono il principale fattore che determina questo equilibrio: nella realtà dei fatti ne bastano poche per creare un deterrente, anche se il campo opposto ne ha un numero infinitamente superiore (come nel caso degli Stati Uniti).
Un elogio utile
I negoziati saranno lunghi, perché pochi statunitensi oggi sono pronti ad accettare la logica dell’attuale situazione. Molti sarebbero addirittura disposti a rifiutarla, convinti che Kim Jong-un sia un pazzo, che potrebbe lanciare il primo attacco contro gli Stati Uniti, anche se non esistono prove che confermino questa convinzione. Essere un dittatore crudele non significa avere impulsi suicidi, e un attacco nucleare contro gli Stati Uniti sarebbe un suicidio.
Trump quasi certamente non capisce che l’unico esito positivo di questo negoziato dev’essere la deterrenza reciproca. Anche la maggior parte dei funzionari statunitensi, nonostante siano molto più saggi e informati di Trump, continua a non accettare la cosa. Ma finiranno probabilmente per convincersene, e i negoziati contribuiranno a guidarli in quella direzione.
È per questo che lo smaccato elogio di Trump nei confronti del leader nordcoreano, per quanto ingenuo – “mi ha scritto delle bellissime lettere, ci siamo innamorati” – è effettivamente d’aiuto. Lo stesso vale per la vaghezza di tutti gli altri complessi interrogativi che hanno segnato il primo vertice tra Kim e Trump nel giugno 2018, e che indubbiamente segneranno anche questo.
Altrettanto utile è l’iniziativa parallela del presidente sudcoreano Moon Jae-in, per la distensione tra le due Coree. Il commercio e gli spostamenti transfrontalieri, la riapertura del parco industriale di Kaesong (dove le aziende sudcoreane producevano beni usando centinaia di migliaia di lavoratori nordcoreani) e gli incontri diretti tra Moon e Kim (tre nel 2018), sono tutti elementi che contribuiscono ad alimentare la speranza di un futuro pacifico.
L’incontro in Vietnam mostrerà a Kim un paese che ha costruito un’economia vitale senza smettere di essere una dittatura comunista
Il vero obiettivo è migliorare le relazioni tra i paesi, non il disarmo unilaterale della Corea del Nord. Tra le concessioni utili c’è un graduale ammorbidimento delle sanzioni che soffocano l’economia nordcoreana e la firma di un trattato di pace ufficiale che ponga fine alla guerra del 1950-1953 tra le due Coree, magari in cambio di significativi tagli all’enorme esercito convenzionale della Corea del Nord (grande il doppio rispetto a quello del Sud, che pure ha il doppio degli abitanti).
Più avanti ci potrebbero essere trattative relative a una quota fissa di armi nucleari e di missili intercontinentali nordcoreani (che oggi sono circa una dozzina, non migliaia), in cambio del ritiro di parte o della totalità delle truppe statunitensi dalla Corea del Sud. Ma questo verrà dopo, adesso è importante approvare misure che rafforzino la fiducia reciproca.
Organizzare questo incontro in Vietnam è stato una buona mossa, poiché mostrerà a Kim un paese che ha costruito un’economia vitale senza smettere di essere una dittatura comunista. Sarà molto più flessibile se crederà (a torto o a ragione) di poter aprire l’economia nordcoreana senza essere spodestato.
Quanto alla fiducia di Donald Trump in se stesso, è già sufficiente così.
(Traduzione di Federico Ferrone)
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