Qualcosa si muove in direzione della pace in Afghanistan. O almeno in direzione della fine dell’incubo statunitense in corso in quel paese da 18 anni. Dallo scorso ottobre alcuni funzionari di Washington e rappresentanti dei taliban stanno tenendo una serie d’incontri faccia a faccia nel piccolo stato del Qatar, nel golfo Persico, e si stanno avvicinando a un accordo. Durante una visita in Afghanistan il mese scorso, il segretario di stato statunitense, Mike Pompeo, ha dichiarato che l’amministrazione Trump sperava in “un accordo di pace prima del 1 settembre”.
Questa prospettiva non raccoglie grande attenzione perché tutti temono che Donald Trump stia per avventurarsi, in maniera improvvida, in una nuova e molto più grave guerra con il paese vicino, l’Iran, ma si tratta di un’ipotesi assolutamente realistica. Tra 18 mesi le truppe statunitensi potrebbero essersi completamente ritirate dall’Afghanistan.
Ma la vera domanda è: quanto tempo passerà prima che i taliban tornino al potere?
Il governo che Washington ha creato a Kabul ha perso il controllo di un terzo dell’Afghanistan dal 2014
Quando una grande potenza perde una guerra con un nemico molto più debole, in un paese molto più povero, non può di fatto ammettere la sconfitta. Sarebbe troppo umiliante. E quindi i vincitori locali spesso devono lasciare che la grande potenza salvi la faccia, concedendole un “rispettabile intervallo” di tempo (per usare l’immortale espressione di Henry Kissinger) tra il momento in cui le truppe della grande potenza se ne vanno e quello in cui sanciscono la propria vittoria.
Ma quanto è lungo un “rispettabile intervallo”? Solitamente intorno ai tre anni. È il tempo che attese il Vietnam del Nord, dopo che le truppe statunitensi avevano lasciato il Vietnam del Sud (1972), prima di prendere il controllo di quest’ultimo (1975). Ed è lo stesso tempo trascorso dal ritiro delle truppe sovietiche dall’Afghanistan (1989) e quello in cui il loro governo fantoccio a Kabul è stato spazzato via (1992), anche se una guerra civile tra gruppi islamisti rivali ha impedito ai taliban di occupare la capitale per altri quattro anni.
Ed è probabilmente lo stesso intervallo di tempo che i taliban dovranno aspettare stavolta, dopo che le truppe statunitensi avranno lasciato l’Afghanistan (diciamo all’incirca alla fine del 2020, appena prima delle elezioni negli Stati Uniti), prima di salire ufficialmente al potere a Kabul (forse nel 2023?).
In Afghanistan ancora molte persone vengono uccise – in media circa venti civili uccisi o feriti ogni giorno, almeno il doppio di soldati e anche molti taliban – ma i taliban hanno vinto.
Nonostante un grande sostegno aereo da parte degli Stati Uniti, il governo più o meno eletto che Washington ha creato a Kabul ha perso il controllo di un terzo dell’Afghanistan dal 2014, quando le truppe statunitensi e di altri paesi occidentali si sono ritirate dalle loro postazioni di combattimento sul campo. Un altro terzo del paese è controllato dal governo di giorno e dai taliban di notte.
Se gli ultimi 14mila soldati statunitensi rimasti e i loro colleghi delle forze aeree se ne dovessero andare, sarà la fine dei giochi per il governo “fantoccio” (come lo chiamano i taliban) del presidente Ashrad Ghani. Gli Stati Uniti riconoscono implicitamente questa realtà di fatto, perché solo i diplomatici di Washington, e non i rappresentanti del governo afgano ufficiale, partecipano ai negoziati con i taliban in Qatar.
Alcuni funzionari del governo ufficiale afgano sono stati autorizzati a presenziare all’ultima sessione delle trattative di pace in Qatar, ma “a titolo personale”, senza poter negoziare alcunché. Il governo di Ghani dovrà accettare qualunque accordo stringeranno gli Stati Uniti, e sa perfettamente che sta per essere scaricato. Dopodiché lui e i suoi non avranno altre opzioni che quella di rubare quanto più potranno, e di andarsene prima che la situazione precipiti.
E come giustificherà la Casa Bianca il fatto di aver svenduto i suoi alleati afgani, che da lei dipendevano? Senza grandi difficoltà, se i “Nixon tapes” possono valere da precedente. La conversazione tra il presidente Richard Nixon e il suo consigliere alla sicurezza nazionale, Henry Kissinger, nell’agosto 1972, quando questi stavano decidendo se abbandonare il Vietnam del Sud, fu registrata dal sistema della Casa Bianca e resa poi pubblica nel corso dello scandalo Watergate.
Nixon: ‘Potremo ancora avere una politica estera presentabile se tra un anno o due anni, il Vietnam del Nord ingloberà il Vietnam del Sud? È questa la vera domanda’.
Kissinger: ‘(Sì), se la cosa apparirà come il risultato dell’incompetenza del Vietnam del Sud. Ma se adesso li abbandoniamo in un modo tale che che, diciamo, tra tre o quattro mesi, (li) avremo messi alle corde… la cosa non ci sarà di grande aiuto. Dobbiamo trovare una qualche formula che mantenga la situazione in piedi per un anno o due… Dopodiché, dopo un anno, signor presidente, il Vietnam sarà acqua passata. Se risolviamo le cose, diciamo, il prossimo ottobre, a gennaio 1974 a nessuno importerà nulla”.
Ha funzionato per Nixon e Kissinger, e può funzionare anche per Trump e Pompeo. Questi ultimi forse non sono altrettanto intelligenti e furbi, ma sono altrettanto spietati. Il ritiro non costituirebbe peraltro, per loro, un danno politico, perché i taliban non sono mai stati interessati ad attaccare gli Stati Uniti (quella era Al Qaeda).
Gli unici sconfitti in questo accordo saranno gli afgani, che dovranno vivere nuovamente sotto il controllo dei taliban.
(Traduzione di Federico Ferrone)
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