L’Amazzonia brucia, ma non è una novità
L’Amazzonia non è in fiamme. Al momento sono in corso diversi incendi nella foresta pluviale amazzonica, come succede ogni anno nella stagione secca, tra luglio e settembre. Forse quest’anno gli incendi sono più numerosi del solito, e la colpa potrebbe anche essere di Jair Bolsonaro, il Trump in miniatura diventato presidente del Brasile a gennaio. Ma non è sicuro che sia così.
Eppure si sentono risuonare ovunque grida d’allarme. Il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato che Bolsonaro gli ha mentito a proposito della sua posizione sui cambiamenti climatici. Ora Macron minaccia addirittura di cancellare la ratifica francese del recente trattato sul libero scambio tra l’Unione europea e il Mercosur (di cui il Brasile è il paese più importante).
Il primo ministro britannico Boris Johnson ha annunciato una “crisi internazionale”, mentre la cancelliera tedesca Angela Merkel ha parlato di “emergenza grave per il mondo intero”. Il ministro degli esteri finlandese ha suggerito che l’Unione europea dovrebbe boicottare la carne brasiliana. Finalmente un’azione coordinata a livello internazionale!
Beh, no. Un gesto significativo si sarebbe potuto fare durante il G7 di Biarritz, il vertice dei paesi più ricchi del mondo, ma tutti i partecipanti sapevano benissimo che in quel caso avrebbero spinto Donald Trump ad abbandonare la compagnia, come già successo l’anno scorso. Magari a questo punto i consulenti dei capi di stato avranno fatto presente che indicare Bolsonaro come unico colpevole non è una tesi solida.
Il rapporto tra Bolsonaro e la verità è conflittuale quanto quello di Trump
Bolsonaro non è una brava persona. È un prepotente ottuso e detestabile che se ne frega del cambiamento climatico e vorrebbe “sviluppare” l’Amazzonia in un modo che porterebbe alla completa distruzione della foresta pluviale.
Quando gli attivisti ecologisti hanno denunciato che gli allevatori amazzonici, incoraggiati dalla retorica di Bolsonaro, danno fuoco alla foresta per ricavare terra da sfruttare, il presidente li ha accusati di aver appiccato gli incendi per screditarlo. Bolsonaro ha ammesso di non avere alcuna prova, aggiungendo che la sua era “una sensazione”.
Naturalmente gli allevatori e le grandi industrie agroalimentari stanno appiccando gli incendi per distruggere la foresta, ma non è una novità legata all’avvento di Bolsonaro. La quantità di ettari distrutti ogni anno era calata costantemente dopo che il Partito dei lavoratori (Pt) aveva preso il potere nel 2003, per poi tornare ad aumentare dopo l’impeachment (su basi discutibili) dell’ultima presidente del Pt, Dilma Rousseff, nel 2015.
Bolsonaro, evidentemente, è soltanto la ciliegina sulla torta. Tra l’altro non è chiaro quale possa essere stato il suo reale impatto sulla vicenda, considerando che è in carica da appena otto mesi. Il numero di multe per gli incendi illegali è calato di un terzo nel 2019, ma è anche vero che nella maggior parte dei casi i piromani non vengono identificati in ogni caso.
Quando a giugno l’Istituto brasiliano per la ricerca spaziale ha riportato un aumento dell’88 per cento nella deforestazione rispetto allo stesso mese dell’anno scorso, nessuno tranne Bolsonaro ha messo in dubbio i dati. Ma le cifre sono precedenti all’inizio della stagione degli incendi (queimada) e presumibilmente si riferiscono alla distruzione di aree forestali dovuta al commercio illegale di legna e alle operazioni minerarie, non ai fuochi.
Più recentemente l’istituto ha annunciato che, in base ai dati satellitari, quest’anno gli incendi boschivi sono aumentati dell’83 per cento, soprattutto nella regione amazzonica. A quel punto Bolsonaro ha immediatamente licenziato il direttore dell’istituto sostenendo che avesse manipolato i dati per ragioni politiche.
Il rapporto tra Bolsonaro e la verità è conflittuale quanto quello di Trump, ma è giusto sottolineare che il 22 agosto l’Osservatorio della Nasa, basandosi anche in questo caso sui dati satellitari, ha comunicato che “quest’anno l’attività incendiaria complessiva nel bacino amazzonico è comparabile con la media degli ultimi quindici anni”.
È innegabile che nel cielo di São Paulo, la più grande città del Brasile, sia comparsa una gigantesca palla di fumo. La situazione è grave, come lo era a Singapore sei anni fa o a Vancouver l’estete scorsa. Di sicuro il fumo nasce dagli incendi boschivi, ma si tratta di incendi in corso nella parte boliviana dell’Amazzonia, non in quella brasiliana.
“Che importa”, direte voi, “anche se stavolta Bolsonaro non c’entra è comunque colpevole di molti altri misfatti, quindi bisognerebbe impiccarlo lo stesso”. Non credo sia il modo migliore di procedere, per quanto buone siano le intenzioni.
I dati sulla crisi climatica sono sempre complicati e da interpretare, perché il nostro pianeta è un sistema estremamente complesso. Chi sostiene di capirne abbastanza da consigliare gli altri dev’essere al di sopra di ogni sospetto. Continuare a dire che “l’Amazzonia è in fiamme” e che “è tutta colpa di Bolsonaro” non è né prudente né dimostrabile.
(Traduzione di Andrea Sparacino)