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La lezione del coronavirus sulla crisi climatica

Una spiaggia a Epanomi, Grecia, dove le temperature hanno superato i 35 gradi, 16 maggio 2020. (Nicolas Economou, NurPhoto/Getty Images)

Gli esseri umani rispondono bene alle crisi che conoscono, soprattutto se sono anche imminenti. Ma non fanno altrettanto quando la minaccia è inconsueta, e appare ancora piuttosto lontana. Basti pensare alla nostra risposta alla pandemia.

I paesi dell’Asia orientale che hanno recentemente conosciuto virus simili, come la Sars, hanno immediatamente risposto con una strategia di tipo “test, tracciamento e isolamento”, più un blocco immediato delle attività se il virus si era già diffuso nella popolazione.

Altri paesi, con gli stessi alti livelli di ricchezza e istruzione, possedevano le stesse informazioni, ma hanno comunque atteso vari mesi prima di adottare misure d’emergenza che hanno stravolto la comoda routine delle loro esistenze. E così Stati Uniti, Regno Unito e Francia hanno tutti finito per avere tassi di mortalità per abitante oltre cinquanta volte più elevati di quelli di Cina, Corea e Giappone.

Lo stesso vale per il riscaldamento globale, salvo che in questo caso siamo tutti statunitensi. Nessuno di noi ha un’esperienza pregressa di una vera crisi climatica e, anche se quel che sappiamo ormai da trent’anni giustificherebbe un’azione urgente, non abbiamo fatto niente di serio in proposito.

Abbiamo un sacco di tecnologie “pulite”, ma la domanda complessiva di energia è cresciuta così rapidamente che continuiamo a produrre l’ottanta per cento di quella che consumiamo da combustibili fossili. Realisticamente, le cose non cambieranno molto. Siamo quel che siamo, modellati da milioni di anni d’evoluzione, e i nostri antenati non facevano piani a lungo termine: dovevano concentrarsi su problemi molto gravi e urgenti.

Una risposta davvero seria alla minaccia climatica potrà quindi venire solo quando i suoi effetti si faranno davvero sentire. Purtroppo a quel punto probabilmente sarà troppo tardi.

Cambiamenti non lineari
Il sistema Terra – biosfera, atmosfera, gli oceani, le pietre e tutti i componenti che governano il clima – segue le sue regole. Assorbirà nuovi apporti, come il riscaldamento, per lungo tempo, cambiando il meno possibile: è quello che si chiama un sistema omeostatico.

Attualmente questa caratteristica sta ancora giocando a nostro favore: nonostante la temperatura media globale sia già aumentata di più di un grado, non c’è molto da segnalare, a parte estati più calde, inverni più brevi e tempeste più violente. Ma quando la pressione sul sistema climatico diventerà troppo forte, raggiungendo un “punto di rottura”, è possibile che si scateni rapidamente in direzioni imprevedibili.

Li chiamano “cambiamenti non lineari”, e non ci piaceranno affatto. Centinaia di milioni di persone, forse miliardi, cominceranno a morire.

A quel punto sì che saremo pronti a fare grandi cambiamenti per salvarci, ma sarà troppo tardi. I sistemi umani crolleranno sotto l’urto di carestie, guerre e infinite ondate di rifugiati. Peraltro, quando il clima intraprende la strada del cambiamento non lineare, è quasi impossibile riportarlo al punto di partenza. Dovremo sopravvivere nelle condizioni in cui ci troveremo, indipendentemente dal fatto che esse permettano la sopravvivenza di una grande civiltà umana o meno.

Quanto è lontano un simile disastro? Probabilmente ci restano ancora un decennio o due. Azzereremo tutte le nostre emissioni di gas serra per allora? Probabilmente no.

“Ridurre” le emissioni non basta. In realtà dobbiamo azzerare tutte le nostre emissioni prima di aver spinto il sistema climatico oltre il limite. E non sappiamo neppure con precisione quale sia questo limite.

Ogni porzione di emissioni che riusciamo a tagliare oggi ci darà un po’ di tempo in più prima di raggiungere questo limite, ma la popolazione globale continuerà a crescere e le persone nei paesi poveri continueranno ad aumentare il loro consumo di energia (è il loro turno adesso, non glielo si può negare).

Ciò di cui avremo bisogno sarà più tempo. È per questo che ci servirà l’ingegneria climatica

Quindi la crisi arriverà quasi sicuramente, e a quel punto saremo finalmente disposti a fare cambiamenti radicali. Ciò di cui avremo disperatamente bisogno, allora, sarà più tempo. È per questo che avremo bisogno dell’ingegneria climatica.

L’ingegneria climatica non è una cura. È un modo di controbilanciare temporaneamente il riscaldamento provocato dalle nostre emissioni di gas serra, riflettendo in qualche modo una piccola parte della luce solare in arrivo.

In realtà si potrebbe parlare di ingegneria climatica “positiva”, in opposizione a quella “negativa” che abbiamo applicato su larga scala negli ultimi due secoli riversando enormi quantità di gas serra nell’atmosfera.

Quando saremo finalmente pronti ad agire con decisione contro il riscaldamento globale, avremo bisogno di una finestra di tempo per effettuare i cambiamenti necessari a preservare la civiltà globale e la biosfera che essa oggi domina. Solo l’ingegneria climatica può creare questa finestra.

Non è necessario cominciare subito a praticare l’ingegneria climatica. Sarebbe fantastico se non dovesse mai essere necessario farlo, ma ci vorrebbe un miracolo. Non possiamo inoltre sapere per quanto tempo dovremo continuare a farlo: sicuramente abbastanza per far scendere l’anidride carbonica nell’atmosfera fino ai livelli di sicurezza, il che richiederebbe almeno alcuni decenni.

Ma anche senza conoscere le risposte a queste domande, dobbiamo chiaramente cominciare subito ad accelerare la ricerca e lo sviluppo delle varie possibili tecniche d’ingegneria climatica.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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