A Hong Kong la Cina controlla anche l’uso della memoria
Il 4 giugno 1989, quando l’esercito cinese entrò a Pechino per mettere fine alle proteste di piazza Tiananmen, è un giorno che non ha cambiato solo la Cina, ma anche Hong Kong. Alcuni lo chiamano addirittura il giorno che ha segnato il risveglio politico della città: nel 1989, infatti, già si sapeva che l’ex colonia britannica sarebbe tornata sotto la sovranità cinese, e ciò che avveniva in Cina era seguito con grande partecipazione. La città si era schierata in massa dalla parte dei manifestanti di Pechino, ed era scesa in strada per protestare contro l’intervento militare, nonostante fosse appena stata colpita da un tifone.
Da allora, e fino al 2019, Hong Kong si era assunta il ruolo di custode della memoria. C’era un museo di Tiananmen, gestito da attivisti. C’era un’organizzazione che sosteneva le madri di Tiananmen, e ogni anno, al parco della Vittoria, si teneva una veglia in cui tutti i partecipanti (decine o centinaia di migliaia, a seconda degli anni e della temperatura politica) portavano tra le mani una candela accesa per commemorare quei tragici giorni e le loro vittime, il cui numero è ancora oggi sconosciuto, motivo per cui si tende a dire che ci furono “centinaia, forse migliaia di morti”.
Poi, dopo l’introduzione della legge sulla sicurezza nazionale nel 2020, la commemorazione non è più stata possibile, anche se non è stato subito così esplicito. Quest’anno Regina Ip, esponente del governo locale, ha detto che commemorare non era illegale, “si può commemorare a casa, e nei propri cuori”. Espressioni pubbliche di cordoglio, invece, non erano ammesse.
Così, il 35esimo anniversario di Tiananmen a Hong Kong ha portato con sé la consapevolezza che il territorio è ormai molto più simile alla Cina, anche se non completamente. La stampa locale, infatti, può ancora fare riferimenti a quella data, dire che la commemorazione non è stata possibile e pubblicare le foto dell’impressionante presenza della polizia vicino al parco (che era stato affittato a gruppi filogovernativi per una festa).
Ha anche potuto raccontare di chi è stato arrestato o fermato dalla polizia per aver voluto essere comunque vicino al luogo della veglia, o anche solo per essersi trovati da quelle parti ignari di quel che stava accadendo. Due turisti cinesi, per esempio, sono stati fermati dalla polizia e interrogati perché uno di loro, che indossava una maglietta nera, stava passeggiando senza saperlo con la luce del telefono accesa. Dato che negli ultimi anni accendere la torcia dello smartphone era un modo per accendere metaforicamente una candela in ricordo delle vittime di Tiananmen, la polizia è intervenuta. I due ignari turisti hanno così imparato che esiste una data tabù in Cina (35 maggio è il modo in cui, per aggirare la censura su internet, i cinesi si riferiscono al 4 giugno), e forse hanno compreso per la prima volta quello che è successo 35 anni fa a Pechino. È stato poi arrestato un uomo che indossava una maglietta con Che Guevara, forse perché le magliette con il Che erano una sorta di divisa per Leung Kwok Hung, un attivista pro-democrazia che oggi si trova in prigione.
Ma che le cose stessero prendendo una piega surreale si era visto già dal giorno prima, quando, dalle parti del parco della Vittoria, l’artista Sanmu Chan si era messo a scrivere in aria con un dito la data proibita, per poi essere portato via dalla polizia. La mattina dopo diversi miei amici che volevano commemorare la data senza però correre rischi hanno cominciato a postare immagini cripitiche sui social network; ricorrendo dunque agli stessi stratagemmi osservati negli anni passati in Cina. Più di uno aveva postato un’immagine tutta nera, in segno di lutto. Un altro aveva messo una serie di banconote e monete, con i numeri che messi in fila dicevano 8964, cioè la data del 4 giugno 1989 scritta alla cinese, anno, mese e giorno. Altri hanno postato dei quadri che contenevano l’immagine di una candela accesa.
Può sembrare eccesso di zelo, ma bisogna ricordare che il 28 maggio, e il 3 giugno, otto attivisti sono stati arrestati per aver postato su Facebook delle immagini commemorative e dei testi che, secondo la polizia, usavano “una prossima data sensibile” per “incitare all’odio contro il governo centrale e quello di Hong Kong”. Sono stati i primi arresti in base alla nuova legge sulla sicurezza nazionale, la seconda, entrata in vigore a marzo e chiamata Articolo 23. I post criptici, dunque, non erano un eccesso di prudenza, ma una fotografia fedele della Hong Kong di oggi, in cui è meglio usare segnali indiretti se non si vuole passare per degli smemorati.