I dieci mesi più strani della democrazia spagnola si sono conclusi in modo altrettanto inaspettato: con lo stesso presidente del governo. Il conservatore Mariano Rajoy, leader del Partito popolare (Pp), resterà premier dopo aver ottenuto la fiducia del parlamento il 29 ottobre grazie all’astensione della maggior parte dei deputati socialisti del Psoe, il suo storico rivale. Rajoy ha ottenuto 170 voti a favore in una camera di 350 deputati, mentre le astensioni sono state 68.

Si chiude così, con una certa continuità, un momento elettorale troppo lungo che avrebbe dovuto segnare un cambiamento storico e la fine del bipartitismo. Ma dopo due elezioni e dopo aver rischiato di tornare alle urne per la terza volta, è evidente che il paese non è più lo stesso.

Rajoy annuncerà il suo nuovo governo oggi 3 novembre. Sarà il primo indizio per capire se qualcosa cambierà minimamente. Oltre all’astensione socialista, il nuovo governo nasce con il sostegno esplicito di Ciudadanos, il nuovo partito di centro di Albert Rivera, che ha chiesto a Rajoy diverse riforme. In una traumatica seduta, il portavoce del Psoe ha cercato di nobilitare la sua decisione parlando di responsabilità e di senso dello stato. Ha detto che il Psoe marcherà stretto Rajoy e che non gli garantirà niente, come se fossero i socialisti a controllare davvero il governo.

La verità è che, considerando lo stato disastroso in cui versa il Psoe, la cosa peggiore per i socialisti sarebbe tornare alle urne. In questa legislatura rischiano ancora grosso. Per questo la sua durata è incerta. E il paradosso è che il Pp è il partito che avrebbe meno paura di tornare a votare. La prima prova sarà l’approvazione del bilancio.

Paradossalmente il candidato più immobile e passivo, Mariano Rajoy, ne è uscito vincente

Il tracollo del Psoe è il dato finale più significativo di questi dieci mesi pieni di turbolenze. Ci saremmo aspettati qualcosa di più epico ed entusiasmante. L’irruzione sulla scena politica di due nuovi partiti guidati da leader giovani – Podemos, di Pablo Iglesias, a sinistra, e Ciudadanos, di Albert Rivera, al centrodestra – aveva fatto pensare a uno stravolgimento degli schemi tradizionali o quantomeno a un nuovo stile di dialogo e di alleanze. Ma non è andata così. Le prime elezioni del dicembre 2015, e ancora di più quelle del giugno 2016, hanno dato un risultato impossibile da tradurre in una maggioranza, per i veti incrociati che annullavano la possibilità di qualsiasi patto.

Al di là delle difficoltà, nuovi e vecchi leader si sono dimostrati incapaci di essere generosi, di negoziare e di superare il tatticismo interessato. Paradossalmente il candidato più immobile e passivo, Mariano Rajoy, ne è uscito vincente, anche se per strada ha perso più di tre milioni di voti per gli scandali di corruzione e i duri tagli economici. Si è limitato ad aspettare che succedesse qualcosa, e gli è andata di nuovo bene.

La crisi dei socialisti è appena all’inizio
Il Psoe ha finito per soccombere alla tensione, alterando lo stallo politico. Un golpe interno ha messo fuorigioco il suo segretario generale, Pedro Sánchez, e una commissione provvisoria ha spinto il partito verso l’astensione. Ciò nonostante, quindici deputati hanno votato contro Rajoy. Sánchez si è dimesso da parlamentare il giorno prima del voto di fiducia e ha annunciato di volersi presentare alle prossime primarie del suo partito. La crisi del Psoe è appena cominciata.

Sánchez, al centro di molte polemiche, aveva ottenuto i peggiori risultati della storia del suo partito e sapeva che la sua unica possibilità di mantenersi vivo politicamente era cercare di formare un governo alternativo al Pp. Aveva proposto un patto con Ciudadanos e Podemos, ma quest’ultima formazione aveva respinto la sua proposta.

Il 4 marzo Sánchez si era presentato in parlamento per chiedere la fiducia con il sostegno di Ciudadanos e non ce l’ha fatta. È stata la giornata chiave di questi mesi. È vero che l’idea di allearsi con Podemos era fonte di panico nel Psoe e che Sánchez non aveva più margine di manovra in questo senso, ma è altrettanto vero che Podemos avrebbe potuto votare a favore del candidato socialista e cacciare finalmente Rajoy. Secondo alcuni analisti, il partito di Iglesias è caduto nella classica tentazione della sinistra: fare di tutto per eliminare prima i cugini del nemico. Podemos avrebbe voluto affondare il Psoe in un secondo appuntamento elettorale prima di cacciare il Pp. Si era perfino unito in una coalizione con l’altra formazione erede del comunismo, Izquierda unida. Ma gli è andata male: hanno perso 1,2 milioni di voti.

Il giorno della fiducia, il malessere degli elettori di Podemos si è tradotto in una manifestazione fuori del congresso, sostenuta da questo partito, contro quello che hanno definito “un golpe” e “un governo illegittimo”. “Non ci rappresentano!”, hanno gridato le persone presenti, che erano tre le diecimila e le 15mila. Il problema è che questo slogan era credibile nelle famose riunioni degli indignati nel 2011, ma questo avveniva prima della comparsa di Podemos, che dovrebbe rappresentarli.

(Traduzione di Francesca Rossetti)

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