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Solo la cooperazione può salvarci

Rann of Kutch, stato indiano del Gujarat, gennaio 2021. (Sam Panthaky, Afp)

L’apocalisse è arrivata. È questo il messaggio che ci sta lanciando la tempesta perfetta creata dal covid-19 e dai cambiamenti climatici. Probabilmente la pandemia durerà ancora qualche anno, visto che il nuovo coronavirus muta in varianti sempre più contagiose e resistenti ai farmaci. E la crisi climatica è entrata nel vivo, come vediamo in tempo reale. L’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), pubblicato ad agosto, ci dice che alcuni cambiamenti climatici sono ormai irreversibili e colpiranno tutte le regioni del mondo, come dimostrano le ondate di calore, gli incendi e le inondazioni recenti. Mantenere il riscaldamento globale a livelli gestibili (anche se sopra la soglia di 1,5 gradi come previsto dall’accordo di Parigi del 2015) richiederà grandi cambiamenti nella politica economica di ogni paese.

Da parte sua, la pandemia ha colpito duramente l’occupazione e i mezzi di sussistenza, spingendo milioni di persone, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, verso la povertà. Il rapporto World employment and social outlook trends (Tendenze dell’occupazione e delle prospettive sociali nel mondo) dell’Organizzazione internazionale del lavoro mostra l’entità del danno. Nel 2020 la pandemia ha causato la perdita di quasi il nove per cento del totale delle ore di lavoro globali, equivalente a 255 milioni di posti di lavoro a tempo pieno. Questa tendenza è continuata nel 2021, con perdite di ore di lavoro equivalenti a 140 milioni di posti di lavoro a tempo pieno nei primi tre mesi dell’anno e 127 milioni di posti di lavoro nel secondo trimestre. Se si confermassero le tendenze attuali, la crescita prevista sarà insufficiente a compensare queste perdite. Anche nel 2022 l’occupazione totale sarà inferiore a quella del 2019. Nonostante un aumento relativamente forte dell’occupazione negli Stati Uniti, il che significa che il deterioramento del mercato del lavoro in altre regioni, soprattutto quelle più povere, sarà ancora più deciso. Inoltre i “nuovi” posti di lavoro legati alla ripresa saranno mal pagati e di bassa qualità.

Nel frattempo la disuguaglianza economica ha raggiunto livelli inimmaginabili. Se molte persone devono vedersela con diminuzioni di reddito, minore accesso ai beni di prima necessità e fame, una minoranza di persone molto ricche e alcune grandi aziende si sono accaparrate ancora più ricchezza. Le nuove forme di consumo smodato sono letteralmente fuori dal mondo: l’uomo più ricco del pianeta, Jeff Bezos, ha speso 5,5 miliardi di dollari per un giro di quattro minuti nello spazio. Questa somma per esempio avrebbe potuto finanziare l’iniziativa Covax, fornendo vaccini a due miliardi di persone nei paesi poveri.

Conseguenze a lungo termine
La tempesta perfetta porterà presto più instabilità sociale e politica. Anziché stimolare un programma politico progressista, questo potrebbe portare a conflitti etnici, razziali, violenza e caos. È uno scenario che si può evitare con un aumento della cooperazione internazionale. Riguardo al clima, i governi potrebbero dichiarare che taglieranno le emissioni di anidride carbonica e di altri gas serra in maniera più decisa per raggiungere lo zero netto in dieci anni. Ovviamente sono i paesi ricchi e ad alte emissioni a dover fare i tagli maggiori e a dover trasferire tecnologie verdi ai paesi in via di sviluppo, permettendo anche a loro di decarbonizzarsi.

Per controllare la pandemia invece bisogna ridistribuire le dosi di vaccino disponibili e rimuovere i vincoli legali sull’ampliamento della produzione attraverso licenze obbligatorie. Inoltre le aziende farmaceutiche, che hanno ricevuto sussidi pubblici per sviluppare il vaccino, devono condividere la loro tecnologia con altri per aumentare la produzione. Costruire una capacità produttiva resiliente e decentralizzata sarà fondamentale per affrontare le crisi sanitarie del futuro.

Per quanto riguarda la politica economica, la cooperazione fiscale globale è necessaria. Semplici regole che facciano pagare alle aziende multinazionali la stessa aliquota d’imposta delle imprese con sede in un solo paese e garantiscano che le entrate siano condivise equamente tra i paesi ridurrebbero la disuguaglianza e aiuterebbero le economie in via di sviluppo. Così come un meccanismo internazionale di risoluzione del debito sovrano ridurrebbe i fardelli fiscali di molti paesi poveri, liberando spazio per spese urgenti.

Purtroppo la politica globale rende improbabile la realizzazione di questo programma. L’atteggiamento dei governi del G7, ossessionati più dall’ascesa cinese che dal bisogno di preservare il pianeta, è deprimente. Il loro nazionalismo in materia di vaccini è miope, mentre il loro attaccamento ai diritti di proprietà intellettuale permette alle aziende di limitare la produzione e massimizzare i profitti. L’umanità è davanti al baratro, ma può ancora fare un passo indietro. Lo farà, o le specie future si chiederanno perché abbiamo partecipato attivamente alla nostra distruzione?

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul numero 1424 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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