La vittoria di David Cameron alle elezioni britanniche ha stupito tutti, incluso lo stesso premier. Nessuno pensava che il Partito conservatore avrebbe ottenuto la maggioranza assoluta, ed è chiaro che molte delle promesse fatte in campagna elettorale non potranno essere mantenute. Il nuovo governo è allo stesso tempo più forte e più debole della coalizione che è stata al potere tra il 2010 e il 2015. Più forte perché è composto solo dai conservatori. Più debole perché la sua maggioranza è molto più esigua.

I pericoli per Cameron sono molti, non ultimo il potere che i suoi stessi parlamentari euroscettici avranno su tutte le sue scelte. È lo stesso scenario da incubo che aveva paralizzato il governo conservatore tra il 1992 e il 1997. Ed è uno scenario che potrebbe facilmente ripetersi. Perché i primi due anni di questa legislatura saranno dominati da una sola questione: l’Europa.

La strategia di Cameron è complicata. Ha bisogno di concessioni dall’Europa, soprattutto sull’immigrazione, per poter sostenere il “sì” al referendum sull’appartenenza all’Unione europea. Ma quando la campagna comincerà, è probabile che i mezzi d’informazione si concentreranno su quelli che sono considerati gli aspetti negativi dell’Unione, mentre gli argomenti a favore della permanenza in Europa saranno trascurati o ignorati.

Questo spingerà al centro del dibattito le idee dei conservatori euroscettici e dei populisti dell’Ukip (che nel 2015 hanno ottenuto quasi quattro milioni di voti, anche se hanno un solo deputato). Per questo, anche se Cameron può “vincere” il referendum, l’effetto a lungo termine della campagna sarà il rafforzamento dell’euroscetticismo. Sarà, nella migliore delle ipotesi, una vittoria di Pirro.

L’austerità continuerà, con profondi tagli allo stato sociale e la privatizzazione di scuole, ospedali e università (oltre che prigioni). Il Regno Unito diventerà un paese più iniquo. I ricchi diventeranno ancora più ricchi e i poveri sempre più poveri. Tali disuguaglianze si ripeteranno nell’istruzione e nel sistema sanitario. Non ci saranno più progressi sulle libertà civili (nell’ultima legislatura Cameron aveva fatto approvare il matrimonio omosessuale), perché non saranno graditi all’ala destra dei Tory, e aumenterà il ricorso alle intercettazioni delle email private.

La straordinaria affermazione dello Scottish national party ha rimesso in discussione il futuro del Regno Unito

Il grande referendum dell’ultima legislatura riguardava il possibile smembramento del Regno Unito. Nel 2014 la vittoria dell’unità sembrava aver risolto la questione per almeno una generazione, ma quest’anno la straordinaria affermazione dello Scottish national party (Snp) ha rimesso in discussione il futuro del Regno Unito.

Molti credono che l’indipendenza di Edimburgo sia inevitabile, e il fatto che in Scozia siano stati eletti solo tre deputati che non provengono dall’Snp è un segno della crisi costituzionale che si è aperta con la schiacciante vittoria dei nazionalisti del 2015. Cameron ha già fatto alcune concessioni all’Snp, che però resterà una spina nel suo fianco per tutta la legislatura, molto più del Partito laburista che si sta dividendo sul tema della sua stessa identità.

La vittoria di Cameron è stata dunque un calice avvelenato? Il periodo 2015-2020 vedrà la fine dell’appartenenza del Regno Unito all’Unione europea e una sua ulteriore frammentazione, con l’indipendenza di fatto della Scozia, una sorta di stato monopartitico nello stato?

I Tory (e i loro amici nei mezzi d’informazione) sono riusciti a convincere un’ampia minoranza dei britannici (ma certamente non una maggioranza) che l’austerità ha funzionato e che non ci si poteva fidare dei laburisti per quanto riguarda l’economia. Quello che è emerso è un paese profondamente diviso. Giallo (il colore dell’Snp) in Scozia, rosso (il colore dei laburisti) nel nord ex industriale e nelle grandi città più cosmopolite, e blu (il colore dei conservatori) nelle Midlands e in tutto il sud.

Un paese diviso, dunque, e un sistema elettorale che amplifica ulteriormente queste divisioni. Nel Regno Unito non c’è traccia di proteste di massa contro l’austerità come quelle viste in Italia, Grecia, Francia e Spagna. La rivoluzione avviata da Margaret Thatcher negli anni ottanta e portata avanti da Tony Blair e Gordon Brown continua a dettare legge. Non c’è alternativa, come diceva Thatcher, ma i costi di una simile ortodossia potrebbero essere alti e potrebbero finire per trasformare il Regno Unito del 2020 in un paese completamente diverso da quello che Cameron governa nel 2015.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it