×

Fornisci il consenso ai cookie

Internazionale usa i cookie per mostrare alcuni contenuti esterni e proporti pubblicità in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più o negare il consenso, consulta questa pagina.

L’amministrazione Trump è inadeguata a gestire il coronavirus

Un cinema chiuso per limitare la diffusione del coronavirus a Seattle, Stati Uniti, 12 marzo 2020. (John Moore, Getty Images)

Da docente, sono sempre alla ricerca di eventi che illustrino i concetti di cui parlo nelle mie lezioni. E non c’è niente di meglio di una pandemia per concentrare l’attenzione su quello che conta davvero. La crisi del Covid-19 è una bella lezione, soprattutto per gli Stati Uniti. I virus non hanno passaporti, non seguono i confini nazionali né la retorica nazionalista. La diffusione delle malattie è uno degli effetti collaterali della globalizzazione. Quando emergono crisi transnazionali, serve una risposta congiunta, come nel caso dell’emergenza climatica.

Nessuna amministrazione statunitense ha fatto di più per minare la cooperazione globale e il ruolo dello stato di quella di Donald Trump. Eppure, quando ci troviamo di fronte a un’epidemia, ci rivolgiamo allo stato. Non possiamo cavarcela da soli né affidarci ai privati. Troppo spesso le aziende vedono nelle crisi opportunità per gonfiare i prezzi, come dimostra l’aumento dei costi delle mascherine. Sfortunatamente, dai tempi dell’amministrazione Reagan, domina il motto: “Lo stato non è la soluzione al nostro problema, lo stato è il problema”. Prendendolo sul serio però si finisce in un vicolo cieco.

Al cuore della risposta statunitense alla crisi del Covid-19 c’è una delle più rispettate istituzioni scientifiche del paese, i Centers for disease control and prevention (Cdc), un organismo di controllo della sanità pubblica il cui personale è composto da professionisti competenti e specializzati. Per Trump, il prototipo del politico incompetente, questi esperti sono un problema, perché lo smentiranno ogni volta che cercherà di mettere i fatti al servizio dei suoi interessi.

La maggior parte dei progressi scientifici degli ultimi anni è costata poco se paragonata alla generosità di cui hanno beneficiato le aziende grazie agli sgravi fiscali

Nel medioevo la forza di volontà e le preghiere non sono servite contro la peste nera. Per fortuna nel frattempo l’umanità ha fatto progressi. Quando è apparso il virus che causa il Covid-19, gli scienziati sono stati in grado di analizzarlo, fare test e cominciare a lavorare a un vaccino. Anche se c’è ancora molto da scoprire sul nuovo coronavirus, senza la scienza saremmo alla sua mercé e in preda al panico.

La scienza ha bisogno di risorse. Ma la maggior parte dei progressi scientifici degli ultimi anni è costata poco se paragonata alla generosità di cui hanno beneficiato le aziende grazie agli sgravi fiscali di Trump e dei repubblicani al congresso nel 2017. E in realtà gli investimenti scientifici impallidiscono anche di fronte ai probabili costi per l’economia dell’ultima epidemia, per non parlare del crollo delle borse. Nonostante questo Trump ha proposto di tagliare i fondi dei Cdc (del 10 per cento nel 2018, del 19 per cento nel 2019). All’inizio del 2020 il presidente, con il peggior tempismo possibile, ha chiesto un taglio del 20 per cento alle spese per i programmi di lotta alle malattie infettive e zoonotiche (cioè che possono essere trasmesse dagli animali agli esseri umani).

Non sorprende che questa amministrazione si sia dimostrata inadeguata. Anche se il Covid-19 ha raggiunto proporzioni epidemiche qualche settimana fa, gli Stati Uniti hanno dimostrato un’insufficiente capacità di effettuare test e di seguire protocolli adeguati. La risposta insufficiente dovrebbe servire da ennesimo promemoria del fatto che prevenire è meglio che curare. Ma la panacea di Trump per ogni minaccia economica è semplicemente chiedere un ulteriore allentamento della politica monetaria e ulteriori tagli fiscali (in particolare per i ricchi). Questo rimedio da ciarlatano ha ancora meno probabilità di funzionare di quante ne avesse nel 2017.

Inoltre i costi totali dell’epidemia per gli Stati Uniti devono forse ancora arrivare, soprattutto se il virus non verrà contenuto. In assenza di permessi retribuiti, molti lavoratori contagiati dovranno comunque presentarsi al lavoro. E in assenza di un’adeguata assicurazione sanitaria, saranno riluttanti a curarsi, visto che le terapie sono costose. Il numero di statunitensi vulnerabili non va sottovalutato. Con Trump, i tassi di mortalità e morbilità stanno crescendo e oggi circa 37 milioni di persone fanno i conti con la fame.

I rischi aumenteranno se si diffonderà il panico. Per evitarlo serve fiducia, soprattutto nei confronti di chi deve rispondere alla crisi. Ma Trump e il Partito repubblicano da anni seminano sfiducia verso lo stato, la scienza e la stampa, lasciando mano libera a giganti dei social network affamati di denaro come Face­book, che permette di usare la sua piattaforma per diffondere disinformazione. E, come se non bastasse, la mano pesante con cui l’amministrazione Trump risponderà indebolirà ancora di più la fiducia nei confronti dello stato.

Gli Stati Uniti avrebbero dovuto cominciare a prepararsi ai rischi delle pandemie e dell’emergenza climatica anni fa. Solo scelte di governo fondate su basi scientifiche possono proteggerci. Ora che quelle due minacce incombono, c’è da sperare che siano rimasti scienziati seri a sufficienza per proteggerci da Trump e dai suoi amichetti incompetenti.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul numero 1349 di Internazionale. Compra questo numero|Abbonati

pubblicità