Quando in tv il segnale sparisce e lo schermo si copre di cenere luminosa appare una scritta: “Errore di trasmissione”. Significa che l’apparecchio funziona, ma c’è un problema dovuto a un malfunzionamento nella trasmissione delle immagini. La rete Televisa e il Pri, il Partito rivoluzionario istituzionale che ha governato il Messico dal 1929 al 2000, hanno voluto creare il primo telecandidato alla presidenza per le elezioni di giugno: Enrique Peña Nieto, un uomo molto fotogenico. In condizioni normali questa qualità non basterebbe per arrivare al potere. Ma da quando un paese con più di 300 tipi di peperoncino si piega alla normalità?
Peña Nieto ha fatto la sua entrata in scena come politico-ologramma in un momento in cui era forte il sospetto nei confronti dei politici dalla personalità debordante, a cominciare dal presidente in carica Felipe Calderón, del partito di destra Pan, che nel 2006 ha mandato l’esercito per le strade appena undici giorni dopo essere stato eletto capo dello stato. Quella decisione, presa senza nessun consenso, è stata dettata più da un impulso che da una strategia. Combattere contro la criminalità organizzata è necessario. Farlo in modo impulsivo porta alla situazione in cui ci troviamo: cinquantamila morti in cinque anni e poche possibilità di vittoria. La dimostrazione di forza del presidente non è stata altro che un atto di irresponsabilità.
Anche il leader della sinistra messicana Andrés López Obrador ha mostrato eccessi di carattere. Il candidato che nel 2006 si era lamentato (giustamente) per le calunnie subite durante la campagna elettorale delle presidenziali, è stato anche l’attaccabrighe che si è rivolto al presidente con una frase da domatore: “Sta’ zitto, pappagallo starnazzante!”. Prima che il tribunale federale elettorale si pronunciasse sulla regolarità delle presidenziali, López Obrador ha organizzato un sit-in di protesta preventiva per dichiararsi vincitore. Le autorità non avevano ancora emesso una sentenza ma lui aveva già espresso il suo disprezzo nei loro confronti. Senza fare autocritica, lo stesso López Obrador oggi si presenta come il rappresentante dell’armonia e propone un nuovo mondo d’amore. La sua forza sta nella crescente rovina dell’offerta politica. Per questo parte in buona posizione: il Pri simboleggia il ritorno all’impunità che ha distrutto il paese per settantun anni, il Pan dodici anni di potere senza fare nulla di buono.
La sinistra messicana non offre grandi novità. In venticinque anni ha avuto due candidati, entrambi politici di vecchio stampo. Il loro vantaggio è che non sono mai arrivati alla presidenza, e così pur essendo superati hanno ancora del passato da vivere. López Obrador cerca di mettere a frutto la sua condizione di “meno peggio” per guadagnare la simpatia di chi è stanco del Pri o del Pan.
Dopo le burrascose e contestate elezioni presidenziali del 2006, che spaccarono il Messico, le ferite subite dal paese non si sono rimarginate. In queste condizioni ha fatto la sua comparsa un politico così vacuo da risultare attraente. Peña Nieto è stato paragonato a un recipiente vuoto. La metafora è perfetta perché chiarisce la vacuità del candidato e il suo possibile impatto. Se gli altri rimedi sono tossici, sembra meglio l’innocuo placebo. Mentre il presidente Calderón indossava la giacca verde dei militari e il suo rivale del 2006, López Obrador, fingeva di essere un presidente legittimo senza essere stato eletto, è arrivato un aspirante con una proposta tranquillizzante: “Non vi preoccupate, questa è solo un’immagine”. Max Weber usò una parola di origine religiosa “carisma”, per definire l’aura intangibile che favorisce un leader. Nei suoi affollati comizi López Obrador incarna alla perfezione il concetto. Questo vantaggio non sempre l’ha favorito. Nel 2006, accolto da una folla urlante, usò parole forti per farsi acclamare. Ma l’evento si svolgeva in due realtà parallele. Chi era in piazza festeggiava la comunione del candidato con la folla indignata, chi lo vedeva in tv era spaventato dal suo tono violento.
Oggi tutte le elezioni si decidono sui mezzi di comunicazione. Confidando in questo, il Pri ha scelto un candidato telegenico. Il problema è che sembra solo un involucro luminoso. La campagna elettorale è il momento in cui tutti i candidati sembrano flaconi medicinali con una scritta sull’etichetta: “Agitare prima dell’uso”. L’imperturbabile pettinatura di Peña Nieto e il travolgente trionfo del suo partito nell’Estado de México suggerivano che sarebbe arrivato alla presidenza senza agitarsi molto. Alcune sue gaffes hanno fatto pensare che forse il suo distacco da certe questioni non è l’espressione di un atteggiamento freddo ma di incapacità. Il Pri ha scelto Peña Nieto per guadagnare punti. Nel nuovo panorama, però, il leader non sembra un personaggio della tv ma della Playstation.
Duemila anni fa una donna vide il volto di Cristo su un telo, e per questo la conosciamo con il nome di Veronica, che significa “vera immagine”. Peña Nieto invece è il nome di un’immagine falsa, prodotto, come altri problemi televisivi, di un errore di trasmissione.
*Traduzione di Francesca Rossetti.
Internazionale, numero 936, 17 febbraio 2012*
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