La chimica umana di Primo Levi
Il passato può essere visto come una galera dalla quale si è sfuggiti per miracolo. Il tempo cancella in maniera sorprendente situazioni che sembravano insormontabili. Una di queste sono le lezioni di chimica: non ho la minima idea di come io abbia potuto essere promosso in una materia della quale non ho mai saputo nulla e della quale ricordo solo l’odore acido dell’aria dopo un’esplosione.
Per colmare la nostra insicurezza pensiamo che quello che non ci interessa ci sia sostanzialmente estraneo. Eppure per la chimica non può essere così. Come negare l’importanza dell’oro, del titanio, del fosforo o del ferro? È difficile disprezzare gli ingredienti dell’universo, ma ancora più difficile apprezzarne i numeri atomici.
Poiché il destino è strano, il mio verso preferito nella letteratura messicana ha a che fare proprio con la materia che non ho mai capito. Il poeta Ramón López Velarde descrive così la folgorante visione di una donna: “Ojos inusitados de sulfato de cobre” (occhi inusitati di solfato di rame). Ma la verità è che la mia vera “conversione” è arrivata con Il sistema periodico, un libro di racconti autobiografici del chimico e scrittore Primo Levi.
L’idrogeno è l’amico complice, la leggerezza che arricchisce un tipo taciturno
Il centocinquantesimo anniversario della tavola periodica, formalizzata da Dmitrij Mendeleev nel 1869, coincide con il centenario della nascita di Levi, nato nel 1919 a Torino in una casa di corso Re Umberto che abbandonò solo nel periodo in cui fu deportato ad Auschwitz e poi con il suo suicidio, nel 1987.
In Il sistema periodico, Levi fa delle similitudini tra gli elementi chimici e le persone decisive della sua vita. L’argon, un gas nobile il cui nome significa “inattivo”, gli serve per descrivere i suoi antenati, capaci di sopportare pressioni estreme con una pazienza che è un’altra forma dell’energia e dalla quale possono scaturire scintille. Il potassio lo mette in guardia contro l’effetto nocivo che le minime cose possono avere in altre sostanze, e quindi nelle persone. L’idrogeno, invece, è l’amico complice, la leggerezza che arricchisce un tipo taciturno. Il piombo, materiale stanco, stimola ricerche insaziabili che si trasmettono di generazione in generazione e rappresentano il peso dell’eredità. Il nichel, nascosto in fondo a una miniera, permette di capire che la ricchezza è un bene recondito e che il suo tenue bagliore può luccicare anche nell’immondizia. L’instabile mercurio sembra non avere utilità di per sé, ha bisogno di “sposarsi” per trovare la sua autentica personalità. Il cerio, che appartiene alla zona delle terre rare, somiglia a una “mercanzia segreta” ed è grazie a quest’elemento che Levi sopravvive nel campo di sterminio, facendone contrabbando in cambio di cibo. E cosa dire del carbonio? Si trova in ogni cosa, organizza l’universo e lega gli occhi che osservano questa linea con la mano che la scrive.
L’estetica della materia
Levi divenne famoso con Se questo è un uomo, cronaca dell’Olocausto scritta con la dignità del sopravvissuto che ignora il sentimento di vendetta. Alla sua cronaca dell’inferno seguì La tregua, che racconta il ritorno di un prigioniero di guerra nella città che mai avrebbe voluto abbandonare.
Levi era un testimone eccezionale, ma anche un creatore. Dalla testimonianza passò alla narrativa. A scuola aveva avuto come maestro uno dei massimi scrittori del Piemonte, Cesare Pavese, ma fu nella chimica che scoprì la sua peculiare estetica. Nella raccolta di saggi L’altrui mestiere scrive: “L’abitudine a penetrare la materia, a volerne sapere la composizione e la struttura, a prevederne le proprietà e il comportamento, conduce ad un insight, ad un abito mentale di concretezza e di concisione, al desiderio costante di non fermarsi alla superficie delle cose. La chimica è l’arte di separare, pesare e distinguere: sono tre esercizi utili anche a chi si accinge a descrivere fatti o a dare corpo alla propria fantasia”.
Per decenni Levi alternò il suo lavoro di scrittore con la paziente lotta per la produzione di solventi e vernici. Quando lo intervistò, Philip Roth volle andare con lui nella fabbrica che era stata, in un certo senso, la sua officina letteraria.
Nell’anno in cui l’Onu ha deciso di celebrare la tavola periodica, noi che abbiamo bisogno di storie per capire la scienza non possiamo dimenticare Primo Levi e la sua capacità di descrivere il suo migliore amico con precisione molecolare: “Possedeva un coraggio tranquillo e testardo, una capacità precoce di sentire il proprio avvenire e di dargli peso e figura (…). Era di fantasia pedestre e lenta: viveva di sogni come tutti noi, ma i suoi sogni erano saggi, erano ottusi, possibili, contigui alla realtà (…). Le sue mete erano sempre raggiungibili. Sognava la promozione, e studiava con pazienza cose che non lo interessavano”.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano messicano Reforma.