Vista dal 52° piano della First world tower – la prima unità residenziale, inaugurata nel gennaio del 2009 – la città sudcoreana di Songdo sembra un plastico in scala reale: le linee rette delle strade, ampi boulevard semideserti e con le strisce di un bianco smagliante, incorniciano quadrilateri da cui svettano grattacieli di vetro e acciaio alternati a gruppi di condomini poco più bassi. Qua e là lotti di terra ancora liberi e qualche gru in movimento danno l’idea di trovarsi in un enorme cantiere. Migliaia di alberelli sottili puntellano i pocket park (parchi tascabili) di dichiarata ispirazione londinese – piccole aree verdi tra un edificio e l’altro – e popolano il Central park, un rettangolo di 40 ettari attraversato da un serpente d’acqua che i progettisti hanno chiamato Canal grande. Le citazioni si sprecano nella città ancora in costruzione a due passi dall’aeroporto di Incheon, a 70 chilometri da Seoul (in cima alla classifica mondiale degli scali), disegnata a tavolino in uno studio di New York e costruita dal nulla in tempi record su 600 ettari di terra strappata al mar giallo.
Città ideale, smart city, aerotropoli (città costruita intorno a un aeroporto): le definizioni per Songdo sono diverse e forse nessuna calza a pennello, anche se in parte sono tutte azzeccate ma, com’è spiegato sul sito della Gale International – il gigante statunitense del real estate che ne ha firmato il master plan e lo sta realizzando –, la città è di certo “uno dei più grandi progetti immobiliari privati del mondo”. Commissionata nel 2000 dal comune di Incheon, Songdo dovrebbe diventare uno snodo decisivo per il business in Asia orientale, forte della vicinanza dell’aeroporto più efficiente del mondo – a cui è collegata da un ponte lungo 16 chilometri costruito ad hoc – e della posizione favorevole a poche ore di volo da “51 città con più di un milione di abitanti, pari a un terzo della popolazione mondiale”. Un “centro urbano internazionale” in Corea del Sud, frutto di una partnership tra pubblico e privato – oltre alla Gale ci sono la multinazionale sudcoreana dell’edilizia Posco e la statunitense Cisco – che nelle aspirazioni iniziali avrebbe dovuto creare la città ideale del ventunesimo secolo: funzionale, tecnologicamente all’avanguardia, iperconnessa ed ecologica. Di fatto Songdo è tutte queste cose insieme, una specie di città modello. Gli edifici sono costruiti secondo i principi della sostenibilità ambientale – risparmio energetico, riutilizzo dell’acqua, sistema innovativo di gestione dei rifiuti (non ci sono cassonetti per le strade di Songdo, i rifiuti dalle abitazioni finiscono direttamente in strutture di raccolta e smaltimento sotterranei grazie a un sistema pneumatico centralizzato). Gli appartamenti sono connessi tra loro e con gli uffici pubblici per ricevere vari tipi di servizi, anche di assistenza medica, comodamente da casa in videoconferenza. Ma tanta efficienza, per ora, sembra non essere bastata ad attirare grandi masse.
Songdo dovrebbe essere completata nel 2015 e ospitare 65mila abitanti da tutto il mondo più 300mila lavoratori pendolari. Oggi ci vivono circa ventimila persone, quasi tutti sudcoreani. “In effetti l’idea di attirare cittadini stranieri non è andata in porto”, ammette Jonathan Thorpe, dirigente del settore finanziario della Gale che ci guida nella visita alla città. Più che un centro urbano internazionale, come speravano i committenti, Songdo sembra infatti destinata a diventare un’area residenziale dove gli abitanti di Seoul e dintorni in fuga dal caos e dallo smog della capitale possono rifugiarsi e in più sentirsi “cittadini globali”. A poche decine di minuti di metropolitana da Seoul, gli abitanti di Songdo possono mandare i loro figli alla scuola internazionale aperta nel 2010 (salvandoli da un sistema scolastico sempre più discusso per la sua durezza), curarsi in un ospedale internazionale (con specialisti e strutture tra le migliori del mondo, promettono i progettisti) e giocare a golf nel club disegnato dal campione statunitense Jack Nicklaus. Così il modello fantasmagorico di città del futuro sembra destinato a piegarsi alle aspirazioni ben più modeste delle persone che hanno scelto di viverci.
Junko Terao è l’editor di Asia e Pacifico di Internazionale. Su Twitter: @junkoterao Su Instagram: junkoterao
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