La Corea del Sud ha un nuovo presidente misogino
Seoul ha un nuovo capo di stato, e non per tutti è una buona notizia. Il conservatore Yoon Suk-yeol, ex procuratore generale e candidato del Partito del potere popolare, ha sconfitto per 263mila voti l’avversario democratico Lee Jae-myung. In quelle che saranno ricordate come le elezioni meno coinvolgenti della storia sudcoreana, nessuno dei due era un candidato popolare. Ma il malcontento per le difficoltà economiche, sofferte soprattutto dai giovani, ha punito il partito del presidente uscente Moon Jae-in.
Con una parte dell’elettorato spaccato lungo faglie generazionali – gli over sessanta tradizionalmente conservatori, i quaranta-cinquantenni democratici – l’ago della bilancia erano i giovani tra i venti e i trent’anni, schiacciati dalla crisi abitativa e lavorativa, con i prezzi delle case sempre più proibitivi, il costo della vita in crescita e la carenza di impieghi appetibili. In particolare Yoon durante la campagna elettorale ha corteggiato spudoratamente l’elettorato antifemminista, giovani maschi spaventati dalle coetanee, che sull’onda del movimento #MeToo hanno cominciato a rivendicare più diritti e un trattamento paritario in una società fortemente misogina come quella sudcoreana (una delle questioni più contestate dagli antifemministi è la leva obbligatoria per i ragazzi, che li tiene impegnati per due anni mentre le coetanee “trovano gli impieghi migliori e avanzano nella carriera”, anche se la Corea del Sud è il paese dell’Ocse dove il divario di genere negli stipendi è più marcato).
Yoon ha negato che in Corea del Sud le donne siano discriminate, ha incolpato il femminismo per la bassa natalità, ha invocato l’abolizione del ministero per le pari opportunità (troppo concentrato sui diritti delle donne e non più necessario) e ha promesso d’inasprire le pene per le false accuse di violenza sessuale.
Riconciliazioni difficili
Chi tirerà un sospiro di sollievo, anche senza darlo a vedere, saranno i funzionari di Stati Uniti e Giappone, scrive l’esperto di politica internazionale Daniel Sneider. Nelle interviste rilasciate durante la campagna elettorale il conservatore Yoon si è impegnato a seguire una linea gradita a Washington e a Tokyo su diversi fronti: un atteggiamento più duro nei confronti della Corea del Nord; la disponibilità ad assumere ruoli regionali e globali coordinandosi con gli Stati Uniti e i loro alleati, anche a costo di sacrificare i rapporti con la Cina; il desiderio di sollevare le relazioni tra Seoul e Tokyo dal baratro in cui sono finite.
Promesse a parte, scrive Snider, non sarà un compito facile. Anche perché il parlamento rimane nelle mani del Partito democratico. Yoon ha detto di voler riconciliare il paese diviso, ma con queste premesse è difficile immaginare come ci riuscirà.
La vittoria di Yoon non è una buona notizia per Pechino, scrive SupChina. Oltre a schierarsi apertamente con Washington nella contesa con la Cina, Yoon, infatti, vuole rafforzare il sistema di difesa antimissile statunitense Thaad, installato in Corea del Sud e reso operativo nel 2017 tra le proteste dei cinesi, sfociate in una campagna di boicottaggio che colpì i prodotti sudcoreani e tolse al settore turistico le entrate dei molti visitatori cinesi.