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In Libia Khalifa Haftar mette le parole davanti ai fatti

Dopo un attacco delle forze di Khalifa Haftar a Tripoli, Libia, 6 maggio 2020. (Amru Salahaddin, Anadolu Agency via Getty Images)

Si dice che tutte le strade portino a Roma, ma in Libia tutte le cartine e perfino la bussola puntano verso Tripoli, anche se sulla cartina ci dovrebbero scrivere questo avvertimento: “Gli oggetti riportati sulla cartina sono più lontani di come appaiono”. Un anno dopo aver lanciato una campagna militare per conquistare Tripoli, Khalifa Haftar, comandante dell’autoproclamato esercito della Libia orientale, non ha ancora risolto il conflitto con il “naso del fucile”, come ha dichiarato una volta un suo portavoce, riferendosi al rifiuto di qualsiasi dialogo politico con il governo di accordo nazionale (Gna) di Tripoli. Sembra però che il vantaggio sui vari fronti di cui Haftar godeva fino a poco tempo fa abbia cominciato a ridursi, con la perdita di diverse importanti città nella Libia occidentale.

L’obiettivo dichiarato è sempre stato per Haftar la liberazione della capitale dai terroristi e dalle milizie, sebbene fosse evidente come in realtà puntava molto più in alto. Oltretutto mettersi a capo di un gruppo di milizie per smantellare il potere delle milizie non ha molto senso, e ribattezzare una serie di milizie tribali e islamiche “Esercito nazionale libico” non basta a trasformarle in un’armata, proprio come non serve a niente scrivere “Amaro del Capo” su un flacone di shampoo.

Lo scorso 23 aprile Haftar ha pronunciato un discorso in televisione. Le luci e lo sfondo erano migliori rispetto a quelli della precedente apparizione televisiva, ma la performance non è stata convincente. Leggendo da un foglio fuori dall’inquadratura e facendo pause che non avrebbe dovuto fare, ha recitato un copione in cui chiedeva ai suoi seguaci di scegliere una volta per tutte chi debba guidare il paese e di smetterla di cercare una soluzione politica. Il suo appello contraddiceva la proposta fatta dal presidente della camera dei rappresentanti di Tobruk, Aguila Saleh.

Tre giorni dopo Haftar è apparso in un’altra trasmissione tv dichiarando di accettare con umiltà il “mandato popolare” a guidare il paese. “Annunciamo che il comando generale risponderà alla volontà del popolo, nonostante il pesante onere, i molti doveri e le enormi responsabilità che questo comporta, e che si assoggetterà ai desideri del popolo”, ha dichiarato. Inutile dire che in Libia non c’è stato nessun referendum. Come si dice a Roma “se la canta e se la suona ”.

Mosse senza senso
Una mossa di questo tipo avrebbe avuto senso dopo aver vinto la guerra: a quel punto, da eroe trionfante avrebbe posto al popolo questo quesito assurdo, proprio come ha fatto Abdel Fattah al Sisi in Egitto qualche anno fa (e tutti sappiamo com’è andata a finire). Mischiando le carte e anticipando una simile dichiarazione, Haftar ha ammesso implicitamente di non essere in grado di risolvere il conflitto in poco tempo e che la perdita di altre città nella Libia occidentale è più probabile della conquista di Tripoli. Altrettanto insensato è affermare la sua autorità su aree che sono già sotto il suo controllo: Haftar governa di fatto la Libia orientale dal 2014 e la camera dei rappresentanti di Tobruk serve solo a conferirgli una patina di legittimità.

La campagna di Haftar si è basata su un assunto: che la Libia ha bisogno di un nuovo dittatore e che lui è l’unica scelta possibile

Haftar conta sul fatto che i suoi sostenitori continueranno a scommettere su di lui fin quando non ne uscirà come unico vincitore. Sembrano quegli scommettitori che, anche se perdono, continuano a raddoppiare la puntata: l’idea è che, quando vinceranno in questo sistema di scommesse in cui hanno riposto la loro fiducia, recupereranno tutte le perdite e trarranno un profitto pari alla puntata iniziale. Ora però assistiamo a un’altra svolta: invece di proclamare il suo potere sulla Libia dopo aver vinto la guerra, Haftar vuole fare il contrario, ossia cerca di vincere la guerra dopo aver proclamato il suo dominio militare sulla Libia.

Per inquadrare la situazione, il portavoce di Haftar Ahmed al Mismari ha parlato di un bivio: o si sostiene Haftar, scegliendo dunque “la sicurezza, la stabilità e la fine del terrorismo”, o “l’invasione turca”, rafforzando terrorismo e caos. Al Mismari ha inoltre “accolto con favore” gli appelli della comunità internazionale per una tregua umanitaria nel mese del Ramadan.

Il Gna ha respinto l’appello di Haftar a favore di una tregua e ha lanciato un’offensiva per conquistare la base aerea di Al Watiya, sotto il controllo di Haftar. Il primo ministro del Gna, Fayez al Sarraj, si è detto pronto ad accogliere qualsiasi iniziativa politica che punti a una soluzione pacifica del conflitto in Libia, insistendo però al tempo stesso sull’importanza di sconfiggere il generale ed escluderlo da qualsiasi futura soluzione politica. Al Mismari ha risposto inviando un messaggio audio ai giovani di Tripoli incitandoli a ribellarsi al Gna. Il giorno dopo, in una conferenza stampa Al Mismari ha dichiarato che “presto le nostre forze entreranno a Tripoli grazie alla volontà dei suoi figli”, e ha promesso al popolo libico “grandi e piacevoli sorprese”.

La campagna di Haftar si è basata su un assunto: che la Libia ha bisogno di un nuovo dittatore e che lui è l’unica scelta possibile. Nonostante la propaganda e il supporto illimitato di cui ha goduto finora, questo compito si sta dimostrando troppo grande per lui. D’altro canto il Gna dichiara di voler costruire uno stato democratico, ma finora non ha indicato nessun percorso praticabile per raggiungere questo obiettivo né una possibile soluzione ai tanti problemi che si sono andati accumulando e aggravando nel corso di questa guerra. Ci si chiede con grande preoccupazione fin dove entrambi siano disposti a spingersi in questa corsa agli armamenti.

Tripoli ha subìto intensi bombardamenti sui quartieri residenziali che hanno provocato numerose vittime tra i civili. Secondo un rapporto pubblicato di recente dall’Unsmil, la missione dell’Onu in Libia, nel primo trimestre del 2020 si è registrato un aumento del 45 per cento del numero di morti civili rispetto allo stesso periodo del 2019. Le forze di Haftar sono responsabili dell’81 per cento delle morti di civili, il Gna del 5 per cento.

Fatou Bensouda, procuratrice capo della Corte penale internazionale, ha dichiarato che la corte sta preparando nuovi mandati di arresto in Libia e ha accennato al fatto che diversi ricercati libici continuano a sottrarsi alla giustizia. Tra questi Mahmud Al Werfalli, un comandante delle forze di Haftar. Bensouda ha sottolineato che diversi capi militari potrebbero essere chiamati a rispondere di crimini commessi dalle loro truppe, poiché prendere di mira intenzionalmente dei civili “è considerato un crimine di guerra in base allo Statuto di Roma”.

In una guerra la bussola morale perde il suo nord e la narrazione diventa condizionale, perché non importa chi ha le armi: finché saranno puntate contro i nemici, coloro che le imbracciano saranno considerati eroi, in caso contrario diventeranno mercenari, estremisti, trafficanti di esseri umani, criminali.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

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