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Le violenze contro i migranti in Libia ora si compiono alla luce del sole

Migranti davanti agli uffici dell’Agenzia Onu per i rifugiati a Tripoli, Libia, 10 ottobre 2021. (Nada Harib, Reuters/Contrasto)

Il 1 ottobre 2021, su ordine del procuratore generale della Libia una consistente compagine di forze di sicurezza ha lanciato un raid nel quartiere di Gargarish, nella capitale Tripoli. Non era il primo attacco di questo tipo, ma è stato di sicuro il più vasto e aveva l’obiettivo di cacciare i migranti e i profughi dall’area. Secondo i dati ufficiali, quattromila migranti sono finiti in carcere, 15 sono stati feriti e uno è stato ucciso mentre cercava di fuggire. Qual è la storia degli scontri con le autorità a Gargarish? Cosa è accaduto il 1 ottobre, e perché questo attacco è diverso dagli altri?

La strada principale di Gargarish divide in due parti il quartiere, situato nella zona occidentale di Tripoli, sulla costa. Da un lato c’è una delle aree più lussuose e costose della città: marchi internazionali della moda, gioiellerie e negozi di profumi, ristoranti eleganti e bar accoglienti. Il traffico perenne è uno stile di vita per molti giovani che scorrazzano a bordo di automobili di lusso ascoltando musica a tutto volume. Ora immaginate di attraversare la strada e inoltrarvi in una qualsiasi delle strade laterali dall’altra parte: a pochi passi dalla facciata scintillante vi ritroverete nel sottobosco di uno dei quartieri più pericolosi di Tripoli.

La parte oscura
L’atmosfera cambia all’improvviso: strade sporche e non asfaltate, stretti vicoli pieni di rifiuti, cani randagi e sguardi ostili. Noterete subito la collocazione casuale degli edifici. Non appena i vostri occhi si saranno abituati alle case misere simili a baracche, di tanto in tanto in mezzo alla spazzatura appare una villa elegante. L’elemento ricorrente è il fico d’India, che avvolge le strade e fa somigliare l’intera area a un labirinto. Capite adesso perché questa pianta è considerata una specie invasiva e come mai gli abitanti del posto chiamano questa parte di Gargarish alhendy, il termine dialettale libico che indica appunto il fico d’India.

Qui c’è il mercato di droga e alcol più attivo di Tripoli (tenete conto che l’alcol è illegale in Libia, non si può entrare in un supermercato per comprare una bottiglia di vino o di whisky, si deve chiamare uno spacciatore o fare un giro nei bassifondi). Paradossalmente, la maggior parte dei negozi, degli edifici e delle automobili di lusso che si vedono nella parte ricca di Gargarish è cominciata a comparire a metà degli anni novanta grazie ai soldi guadagnati nella sua parte oscura, sporca e pericolosa.

Il quartiere è così dagli anni ottanta, ostile e chiuso per chi viene da fuori, tranne che per i clienti. Anche le pattuglie della polizia evitano di entrarci. A volte capitano brutte cose perfino a una persona come me, che si vanta di conoscere Tripoli come il palmo della sua mano ed è a suo agio a camminare ovunque, nei quartieri belli, in quelli brutti e in quelli cattivi. Casomai lo dimenticassi, ho 22 punti nella mia coscia sinistra a farmi da promemoria. Ma questa è un’altra storia.

Un’abitazione a Gargarish dopo il raid delle forze di sicurezza del 1 ottobre.

I migranti e i profughi vivono da sempre accanto ai libici in quest’area, che è uno dei pochi posti in cui possono permettersi di prendere in affitto delle case (se vogliamo chiamare case gli edifici in cui abitano). Le comunità di migranti che vivono nel quartiere sono cresciute, hanno aperto negozietti in cui si vendono cibo e prodotti dei loro paesi di origine, hanno cominciato a vedersi barbieri, piccoli bar e chiese nascoste. Dal 2011 gli spacciatori si sono armati e hanno ampliato le loro reti reclutando cecchini e guardie. Con l’aumento del traffico e del contrabbando di esseri umani alcuni spacciatori hanno cominciato a reclutare migranti, avviando una nuova attività economica nelle case di collegamento.

Le case di collegamento sono bordelli gestiti da trafficanti di esseri umani e facilitatori provenienti dall’Africa subsahariana con il sostegno dei trafficanti e degli spacciatori libici. I gestori delle case di collegamento comprano le ragazze che arrivano dal sud del paese dai trafficanti che le hanno portate in Libia. Alcune vengono mandate a Sabha. Altre arrivano fino a Tripoli e finiscono a Gargarish. I magnaccia costringono le ragazze a prostituirsi finché non hanno saldato il loro debito. Solo dopo possono provare ad attraversare il Mediterraneo e arrivare in Europa dove, nella maggior parte dei casi, dovranno continuare a prostituirsi per saldare i nuovi debiti. Le vittime sono intrappolate in un inferno senza vie di uscita. Non possono scappare, visto che non esistono organizzazioni che possano offrirgli aiuto, né possono rivolgersi alle autorità, che devono temere più degli stessi gestori delle case di collegamento.

Le costanti incursioni nel quartiere hanno però indebolito queste reti. Nonostante ciò le autorità libiche e i loro mezzi d’informazione continuano a definire tutti i migranti neri come appartenenti a organizzazioni criminali senza fare alcun distinguo. Tutti gli uomini sono quindi spacciatori, trafficanti di esseri umani o magnaccia. E le donne non sono vittime, si prostituiscono tutte di loro spontanea volontà. Questa situazione ha alimentato l’ostilità contro i migranti neri e ha lasciato alle autorità libiche carta bianca per arrestare e usare ogni tipo di violenza contro i migranti senza alcuna critica da parte dell’opinione pubblica.

Ripulire il quartiere
Tornando al 1 ottobre, tutto è cominciato verso l’alba, quando gli abitanti di Gargarish sono stati svegliati dal frastuono di forti sparatorie. Tutte le strade che conducevano al quartiere erano state chiuse da veicoli corazzati e la polizia chiedeva alle persone di restare e casa. Le immagini mostrano agenti di polizia armati fino ai denti con l’atteggiamento di guerrieri e non certo di custodi dell’ordine pubblico. In una foto in particolare si vede un cosiddetto poliziotto che sul suo veicolo ha un adesivo con su scritto “Il castigatore”. A un certo punto hanno cominciato a fare irruzione con armi e cani nelle case dei migranti, radunandoli per strada.

È stato dichiarato fin dall’inizio che l’obiettivo della campagna era “l’eliminazione delle sacche di prostituzione e spaccio di droga e la demolizione delle costruzioni di fortuna nel quartiere”. Eppure è strano che in un’operazione contro gli spacciatori non sia stato arrestato nessun libico e che le bande organizzate non abbiano opposto alcuna resistenza, a differenza di quanto accaduto in passato, quando operazioni simili sono sfociate in ore di scontri a fuoco e vittime da entrambe le parti, oltre che tra i civili. La lunga fila di autobus in attesa oltre il ponte di Gargarish, pronti a trasferire tutti i migranti radunati dai poliziotti, rafforza l’idea che, come sempre, il vero motivo è stato arrestare i migranti e i profughi direttamente a casa. Questa volta l’operazione è stata condotta su vasta scala per ripulire il quartiere da stranieri e migranti.

Le dichiarazioni ufficiali e gli articoli sui giornali fedeli al governo hanno giustificato e lodato l’uso eccessivo della forza, descrivendo i fatti come un’operazione epica. Qualche ora dopo l’incursione, il primo ministro Abdul Hamid Dadaiba è arrivato sul posto accolto come un eroe, circondato dal suo entourage e dalle telecamere, per parlare con le persone. Un anziano gli si è avvicinato urlando che lui affittava le case ai migranti per 300 dinari libici (circa 56 euro), e adesso erano andati via tutti. Dadaiba lo ha consolato con una pacca sulla spalla, dicendogli di non preoccuparsi, che si sarebbero occupati di lui. L’incursione è stata un’altra mossa per accrescere la popolarità di Dadaiba. Settimane prima il premier aveva concesso un contributo di 40mila dinari (circa 7.500 euro) a ogni coppia che si sposava e ora sta approfittando della xenofobia diffusa, promettendo alle persone progetti edilizi e nuove opportunità di lavoro.

I migranti e i richiedenti asilo sono stati in gran parte portati alla Direzione per la lotta contro la migrazione irregolare, e da lì trasferiti in diversi centri di detenzione a Tripoli, tra cui Mabani, Shara, Zawya e Abu Salim. Secondo fonti e testimoni locali, molte delle persone arrestate erano state già registrate dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e avevano documenti. Altri erano in possesso di un regolare permesso di soggiorno e del loro passaporto. Nei centri di detenzione però le guardie hanno chiesto a chi aveva i documenti di pagare 1.500 dinari (285 euro) per riaverli ed essere rilasciati. Per chi non aveva documenti la tariffa era di quattromila dinari (760 euro).

L’incursione, l’arresto dei migranti, caricati sugli autobus con le mani legate da cinghie di plastica, e infine l’arrivo delle ruspe che hanno cominciato a demolire le loro case. Tutto questo ricorda le immagini inquietanti delle campagne condotte dalla polizia brasiliana nelle baraccopoli di Rio de Janeiro prima dei Mondiali di calcio del 2014 e delle Olimpiadi del 2016 . L’esempio libico però è stato sfacciatamente selettivo nel prendere di mira solo i migranti e i richiedenti asilo. Le violenze e le umiliazioni sistematiche inflitte ai migranti sono sempre esistite, ma restavano nell’ombra, così i politici potevano negarle. Le azioni del primo ministro Dadaiba le hanno solo ufficializzate e portate alla luce. La Libia non è un porto sicuro per i migranti, né probabilmente per alcun essere umano.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

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