I più esperti riescono a scansare quelli che chiedono soldi per strada senza farsi mai cogliere impreparati. Mantengono un passo veloce e deciso, all’occorrenza fanno finta di parlare al cellulare, evitano sempre di incrociare lo sguardo del “nemico”.
È un modo di manifestare apertamente la propria insofferenza per i dialogatori, quei ragazzi che vi abbordano nelle vie principali di ogni città per chiedervi di dare un’offerta per qualche organizzazione non profit.
Siamo arrivati al punto che in Gran Bretagna per qualche tempo c’è stato un sito dove chi non li sopportava poteva andare a sfogarsi, comprare magliette con slogan per tenerli alla larga (del tipo: “Chiedi soldi? No, grazie”), e attingere a un elenco di scuse plausibili per sottrarsi alle loro richieste (tra le più gettonate: “Prima devo parlarne con mia moglie/mio marito”).
Ma sono davvero una piaga così insopportabile? Dopotutto, cercano solo di raccogliere fondi per qualche ente benefico. I motivi per cui spesso suscitano una reazione negativa sono due. Innanzitutto perché violano una regola d’oro basilare dell’etichetta britannica: invadono con tenacia e determinazione il nostro spazio vitale senza essere stati invitati a farlo.
E poi sono pagati per sollecitare offerte che dovrebbero essere fatte solo per altruismo. Delle circa duecento organizzazioni che si servono di questo sistema di raccolta fondi alcune, come Greenpeace e Medici senza frontiere, hanno ammesso che le critiche sono fondate e stanno gradualmente rinunciando ai banchetti per strada.
Ma per la maggior parte dei gruppi le sottoscrizioni raccolte “on the road” sono la principale fonte di entrate. Con questo sistema, inoltre, molti giovani – che in alcuni casi non hanno mai fatto un’offerta a un ente umanitario – si lasciano convincere a diventare sostenitori fedeli di una causa.
Invece di mostrare la loro generosità una tantum attraverso campagne di raccolta fondi più tradizionali, come telethon o la semplice cassettina per le offerte, accettano di versare regolarmente una quota che viene addebitata sul loro conto corrente. Il contatto diretto con i potenziali sostenitori permette inoltre alle organizzazioni di farsi pubblicità in modo più personale e mirato.
Nel 2004, le 200mila organizzazioni non profit registrate in Gran Bretagna hanno raccolto complessivamente 50 miliardi di euro. La spartizione dei fondi raccolti, però, è stata tutt’altro che equa. Quasi il 90 per cento del denaro è andato al 7 per cento delle associazioni. Le dieci più importanti hanno ottenuto in tutto 2,5 miliardi di euro.
La Charities aid foundation è un ente inglese che raccoglie dati sull’attività di beneficenza e aiuta le organizzazioni umanitarie a rendere più efficiente il loro sistema di raccolta. Secondo l’ente, nel 2003 i benefattori britannici hanno donato in media circa 200 euro a testa, e la maggior parte delle offerte è stata versata alle raccolte fatte per strada o porta a porta.
Le raccolte fondi sono molto costose: possono arrivare fino al 13-14 per cento delle spese nelle organizzazioni non profit più importanti. I soldi raccolti dai dialogatori sono versati direttamente agli enti a cui sono stati destinati, ma le organizzazioni di norma pagano alle ditte specializzate nella gestione di questo servizio un compenso una tantum di circa 150 euro.
In media ci vuole un anno ad ammortizzare questa spesa, e solo dopo si possono sfruttare davvero le donazioni versate regolarmente dai sostenitori. Perciò, se interrompete i vostri versamenti troppo presto, la vostra rinuncia può costare cara all’organizzazione umanitaria che li riceve, soprattutto se non è una delle più grandi e importanti.
E non è vero che i dialogatori intascano una commissione sulle donazioni. DialogueDirect, una delle più grandi imprese britanniche del settore, paga ai suoi dialogatori tra i 300 e i 500 euro alla settimana, ma non gli riconosce nessuna commissione.
Ovviamente esistono sistemi molto più efficienti per fare beneficenza. Per esempio, quello delle trattenute sullo stipendio, che è molto diffuso negli Stati Uniti, ma ancora poco praticato qui in Europa. In generale, comunque, è sempre meglio fare un piano di finanziamento degli enti che si vogliono sostenere, e seguirlo scrupolosamente, invece di prendere degli impegni a lungo termine in modo estemporaneo.
Dando soldi a un dialogatore aiuterete solo quelle organizzazioni che possono permettersi di pagarli, cioè le più grandi e importanti, che già si aggiudicano la quota più consistente del mercato delle donazioni.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it