Mentre in Svezia i partiti faticano a formare un governo di coalizione dopo le elezioni del 9 settembre, un numero crescente di ricerche mostra che i social network hanno probabilmente contribuito a produrre il risultato elettorale che ha portato allo stallo politico. E non per interferenze straniere, bensì per un abuso dei mezzi d’informazione digitali locali.
La Svezia, come i Paesi Bassi e la Germania lo scorso anno, sta attraversando il più lungo periodo senza un governo della sua storia democratica. Alle ultime elezioni nessun partito ha ottenuto abbastanza voti per formare un governo da solo, e tutti i tentativi di formare una coalizione sono finora falliti. Il 14 novembre il parlamento ha bocciato il tentativo di Ulf Kristersson (leader del Partito moderato svedese, centro destra) di formare un governo di minoranza che avrebbe dovuto chiedere l’appoggio del partito ultranazionalista dei Democratici svedesi per votare le decisioni più importanti. Neanche il principale partito di Svezia, quei socialdemocratici guidati dal primo ministro ad interim Stefan Löfven, è in grado di formare una maggioranza.
Adesso potrebbe essere il turno di Annie Lööf, del Partito di centro, che ha ottenuto solo il 9 per cento dei voti. La sua idea è mettere insieme i socialdemocratici e il Partito moderato, anche se le due formazioni non hanno mostrato alcun desiderio di unirsi. La legge svedese concede al presidente della camera quattro tentativi per scegliere il potenziale primo ministro. Dopo il quarto fallimento si indicono nuove elezioni. Ormai è probabile che questo succeda, ma i sondaggi mostrano che anche stavolta il voto probabilmente non esprimerà una maggioranza chiara.
L’origine dell’impasse potrebbe trovarsi nel peso sempre maggiore di internet nelle elezioni di tutto il mondo. Secondo i dati della Swedish internet foundation, la campagna elettorale del 2018 è stata la prima nella quale la stragrande maggioranza degli svedesi ha usato la rete come principale fonte di informazione. E questo nonostante l’alto livello di alfabetizzazione mediatica degli svedesi e una fiducia relativamente bassa nei confronti delle notizie trovate sui social network.
La campagna diffamatoria orchestrata contro la Svezia la descrive come un paese sull’orlo della guerra civile ed etnica
Probabilmente a provocare questa frattura senza precedenti nella società svedese ha contribuito un fenomeno che l’Oxford internet institute ha descritto in un rapporto pubblicato a settembre: la proporzione di “notizie spazzatura” condivise sui social network in Svezia durante la campagna elettorale è stata la più alta di tutte le recenti elezioni europee, seconda solo a quella delle elezioni presidenziali degli Stati Uniti del 2016. I contenuti volutamente fuorvianti hanno rappresentato il 22 per cento di tutti i link provvisti di hashtag politici condivisi sui social. Ogni due link a pubblicazioni giornalistiche mainstream è stato condiviso un link a notizie spazzatura.
La Svezia si era attrezzata per combattere la propaganda e le campagne di disinformazione della Russia. Aveva addestrato i funzionari statali a individuare i “tentativi di ingerenza” e distribuito milioni di opuscoli alle famiglie. Ma non era pronta alla disinformazione venuta dall’interno: secondo l’Oxford internet institute, otto delle principali dieci fonti di notizie spazzatura durante la campagna elettorale erano svedesi, mentre “le fonti russe rappresentavano meno dell’1 per cento del numero totale degli url condivisi nel campione analizzato”. Molte delle bufale che sono circolate promuovevano una retorica anti-immigrazione che ha favorito i Democratici svedesi, partito con cui le altre formazioni non fanno certo a gara per stringere alleanza.
La Svezia di recente ha accolto più migranti in proporzione alla sua popolazione di qualsiasi altro paese e un recente rapporto dell’Institute for strategic dialogue (Isd) di Londra e dell’Istituto per gli affari globali della London school of economics (Lse) ha rilevato l’esistenza di una campagna internazionale per dipingere il paese come un luogo infernale pieno di zone pericolose e in preda a scorribande di immigrati musulmani. “La campagna diffamatoria orchestrata da più parti contro la Svezia, che la descrive come un paese in crisi sull’orlo della guerra civile ed etnica, non ha forse precedenti quanto a longevità e assiduità tra le campagne diffamatorie dell’estrema destra”, scrivono gli autori del rapporto. Tra loro ci sono anche due dei principali esperti di disinformazione russa, Peter Pomerantsev e Anne Applebaum.
Il rapporto ha potuto determinare che la campagna si basa su una rete internazionale di gruppi di estrema destra basati negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Ungheria e nei Paesi Bassi, tra gli altri, affiancata da media controllati dal governo russo. Ma la rete non sembra rivolgersi agli elettori svedesi. Isd e Lse hanno trovato poche tracce di azioni di disinformazione coordinate dall’estero con obiettivo gli svedesi prima delle elezioni. Nessun sito straniero figura tra i venti principali domini collegati a discussioni su Twitter che usavano hashtag legati alle elezioni. I Democratici svedesi hanno cercato di soffiare sul fuoco dell’allarme di manipolazioni orchestrate dall’estero, ma la verità, scrive il rapporto, è che la campagna “è stata coordinata prevalentemente da fonti svedesi”:
Non sono chiari i motivi dell’assenza in Svezia di tentativi di ingerenza internazionale di dimensioni analoghe a quelli visti nelle recenti elezioni in Francia, Stati Uniti, Germania e Italia. Innanzitutto, è importante riconoscere la difficoltà di questi gruppi internazionali di organizzare campagne in lingua svedese. Inoltre, nonostante la Svezia costituisca uno dei principali argomenti nei discorsi dell’estrema destra internazionale, rimane probabilmente un teatro politico relativamente sconosciuto per la maggior parte delle persone che vivono fuori dalla Scandinavia, e l’interesse e la conoscenza del sistema politico svedese e del suo elettorato è ancora relativamente ridotto.
Se queste conclusioni sono corrette e perfino la Russia, con le sue ampie risorse dedicate alla propaganda internazionale e il fermo interesse a tenere la Svezia lontana dalla Nato, non ha fatto molti sforzi per influenzare le elezioni svedesi, allora è possibile e persino probabile che l’interferenza straniera nei social network sia solo un sintomo, non il male. E la malattia sono gli stessi social network in quanto terreno di diffusione di notizie spazzatura, siano esse di origine straniera o interna.
In Svezia l’alfabetizzazione mediatica è un tema estremamente serio, e addirittura ci sono corsi delle scuole superiori su come individuare le notizie false. Stando alle conclusioni dell’Oxford internet institute, questo approccio non ha dato risultati immediati. Le notizie false sono molto popolari e la politica è contaminata da discorsi fatti in malafede, divisivi e manipolatori che continuano a infestare i social network, nonostante i tentativi altamente pubblicizzati di aziende come Facebook, Google e Twitter di bloccarne la circolazione.
Studi recenti condotti in Germania e negli Stati Uniti hanno stabilito un legame tra l’uso dei social network e l’incidenza dei crimini d’odio. È logico estendere queste considerazioni alla polarizzazione della società. L’attuale stallo politico svedese, quindi, potrebbe essere almeno parzialmente legato all’incidenza dei social: nel 2017, in Svezia, il 53 per cento degli utilizzatori di internet usava quotidianamente Facebook (il 50 per cento della popolazione totale del paese).
Sempre secondo la Swedish internet foundation, quest’anno il tasso di attività degli svedesi su Facebook ha cominciato a calare. Se con essa diminuirà anche la polarizzazione politica del paese è un argomento cui vale la pena dedicare ulteriori ricerche.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è stato pubblicato su Bloomberg View.
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