La Repubblica Ceca è un’altra sfida per la democrazia europea
La Repubblica Ceca potrebbe seguire il cammino già intrapreso dalla Polonia con Jarosław Kaczyński e dall’Ungheria con Viktor Orbán, passando da una democrazia di tipo occidentale a un regime autoritario.
Per quanto anche un sistema del genere ammetta l’esistenza di elezioni e tolleri una sorta di opposizione, i mezzi d’informazione al suo interno hanno un limitato spazio di manovra, il sistema giudiziario è discriminatorio e le autorità giudiziarie e di polizia sono subordinate a un gruppo ristretto di persone, la competizione tra i partiti è piena si scorrettezze e l’accesso all’informazione critica con il governo è limitato. A differenza della Russia e di altre dittature di tipo post sovietico, i progetti di Orbán e Kaczyński non hanno ancora raggiunto pienamente i loro obiettivi e si trovano tuttora dentro l’Unione europea. Tuttavia, la loro traiettoria è chiara.
La Repubblica Ceca, già nota per i casi di appropriazione indebita di beni dello stato che si sono verificati agli inizi degli anni novanta, si sta ora preparando a partecipare, in un modo ugualmente originale, al deterioramento delle democrazie dell’Europa centrale. Il suo contributo è rappresentato dalla candidatura di Andrej Babiš, l’imprenditore che con un patrimonio di 88 miliardi di corone (3,37 miliardi di euro) è il secondo uomo più ricco del paese (il che è in realtà una contraddizione, dato che Babiš ha origini slovacche perché è nato a Bratislava).
Il paese come un’azienda
Anche il suo movimento, Ano, non è stato fondato come un partito politico tradizionale, ma come un’azienda guidata da un’unica persona. Per esempio, Babiš non nasconde di pagare personalmente alcuni leader del suo movimento e afferma che non esiste alternativa alla sua leadership.
L’intenzione di Babiš è governare il paese “come un’azienda”. Il programma elettorale di Ano somiglia in tutto e per tutto al programma di un partito politico standard, ma intanto il miliardario ha pubblicato un libro di cui sono state vendute centinaia di migliaia di copie: O čem sním, když náhodou spím (Cosa sogno quando ho tempo per dormire). Il libro dunque sembra essere molto più rilevante del programma del movimento, preparato da semplici “impiegati”.
Nel libro, Babiš descrive i suoi progetti per la trasformazione di ogni aspetto della vita dei cechi (ma anche dell’Ue). Tuttavia, secondo i politologi, l’elemento più importante è costituito dal fatto che Babiš pianifica di indebolire il sistema democratico del paese. “Alcuni progetti potrebbero condurre allo smantellamento della democrazia rappresentativa in Repubblica Ceca”, dice il politologo Tomáš Lebeda del dipartimento di studi politici ed europei dell’università Palacký a Olomouc. Il politologo cita, per esempio, la proposta di Babiš di sciogliere il senato, introdurre un sistema di maggioranza a turno unico ed eliminare le autorità regionali e municipali. “È un cocktail molto pericoloso. Se la maggior parte di queste proposte fosse approvata simultaneamente, la democrazia rappresentativa in questo paese rimarrebbe seriamente danneggiata”, aggiunge Lebeda.
La concentrazione del potere nelle mani di un’unica persona non è mai stata così forte in Europa centrale
In ogni caso, questa è solo una parte del problema. Bisogna anche considerare il legame tra le attività imprenditoriali di Babiš e il suo programma di governo. La sua azienda Agrofert dà lavoro a decine di migliaia di cittadini cechi (e a migliaia di tedeschi, polacchi e slovacchi) e in pratica controlla gran parte dell’agricoltura, dell’industria alimentare, di quella chimica e perfino alcuni mezzi d’informazione della Repubblica Ceca.
Oggi, Ano è il secondo partito di governo e lo stesso Andrej Babiš è stato viceprimo ministro per tre anni, fino a quando è stato rimosso dall’incarico per uno scandalo finanziario nato in primavera e legato alla sua azienda agricola Čapí Hnízdo: la concentrazione del potere politico, economico e dell’informazione nelle mani di un’unica persona non è mai stata così forte in Europa centrale. La situazione non è cambiata molto neppure quando Babiš è stato costretto a trasferire i suoi beni in un fondo fiduciario nella primavera di quest’anno. In realtà, ne mantiene ancora il controllo.
Scambio di favori con Zeman
Grazie al suo dominio sui mezzi d’informazione (Babiš possiede Mf Dnes, il più grande quotidiano del paese, la stazione radio Impuls, la più ascoltata in tutto il paese, e iDnes, uno dei maggiori portali di notizie), alla debolezza del resto della politica democratica ceca, eredità della generazione forte del 1989, e al supporto del presidente filorusso Miloš Zeman, Babiš è il più favorito per le elezioni. Nemmeno il fatto che la polizia l’abbia accusato di avere ottenuto illecitamente 50 milioni di corone, ovvero due milioni di euro, dai fondi dell’Unione europea, ha scalfito il consenso intorno a lui. Se fosse riconosciuto colpevole, Babiš potrebbe essere condannato a vari anni di carcere. In ogni caso, il presidente della repubblica ha già annunciato che lo nominerà primo ministro anche se dovesse essere arrestato.
In cambio, Babiš ha accontentato il presidente dichiarando che bisogna prendere in considerazione la possibilità di revocare le sanzioni contro la Russia, introdotte in risposta all’occupazione russa dell’Ucraina.
Un’altra importante questione che sta aiutando Babiš è l’attuale panico antimmigrati. Babiš, un “leader forte” che si oppone all’“occidente multiculturale” e all’islam stesso, sta populisticamente cavalcando anche quest’onda.
Ci sono quattro litigiosi partiti democratici a contrastare le forze di destra e i comunisti
Tolti gli slogan del tipo “Sì: staremmo meglio fuori” o il motto già citato “gestire lo stato come un’azienda”, il programma di Babiš è molto confuso. Tuttavia, una cosa è certa. Il suo governo non sarebbe filoeuropeo e l’introduzione dell’euro sarebbe “congelata”. Eppure, gli esperti sostengono che questi siano tra i problemi meno gravi. Il vero pericolo risiede nel fatto che, se Ano riesce a formare una maggioranza di governo composta da un unico partito, l’attuale conformazione democratica della Repubblica Ceca sarebbe minacciata e il paese potrebbe allontanarsi dalla cultura e dai sistemi politici occidentali, che Babiš ha intenzione di smantellare. “C’è un dinosauro che sta schiudendo l’uovo. Potrebbe distruggere qualsiasi elemento di democrazia”, mette in guardia il politologo Bohumil Doležal.
Babiš e l’estrema destra ceca
Il vecchio detto ceco “Non va mai così tanto male da non poter andar peggio” si applica perfettamente alle elezioni in arrivo. Svoboda a přímá demokracie (Libertà e democrazia diretta) sta lottando per il secondo o terzo posto nelle urne e potenzialmente potrebbe superare il 10 per cento dei voti. Il partito, guidato da Tomio Okamura, per metà di origini giapponesi, è apertamente xenofobo e ha molte caratteristiche che lo rendono un partito fascista dotato di un leader forte. I suoi manifesti elettorali promettono la messa al bando dell’islam e l’uscita dall’Ue. La somiglianza con la situazione ungherese, dove il neofascista Jobbik rappresenta la maggiore opposizione a Orbán, è abbastanza evidente.
Tuttavia, un altro fenomeno antidemocratico presente sulla scena politica ceca è costituito dai comunisti, immuni a qualsiasi tipo di riforma negli ultimi 25 anni. Le previsioni preelettorali li danno sopra al 10 per cento. Tra le altre proposte, chiedono l’uscita del paese dalla Nato.
Ci sono quattro litigiosi partiti “democratici” a contrastare queste forze: i socialdemocratici, attualmente al governo, i cristianodemocratici, Top 09 e l’euroscettico Partito democratico civico. Sebbene questi partiti comprendano in buona misura la minaccia rappresentata da Babiš, non sono stati in grado di far blocco contro di lui. Sembra che anche se l’elettorato gliene desse l’opportunità, non sarebbero comunque capaci di formare un governo “antibolscevico”. Coltivano la falsa impressione che se Babiš si dovesse rivelare un grosso problema, potranno unirsi per resistergli la prossima volta.
Tuttavia, le prossime elezioni potrebbero svolgersi secondo regole diverse (come succede in Ungheria, Polonia o nella Russia di Putin) e il vincitore potrebbe essere deciso in anticipo. È dunque probabile che un esperimento con la democrazia sia in corso anche in Repubblica Ceca. Gli sforzi per convincere gli elettori a non dare a Andrej Babiš la possibilità di diventare capo del governo sembrano fare buchi nell’acqua, anche se la speranza non muore fino al momento delle elezioni. Probabilmente le ultime libere per molto tempo.
In collaborazione con VoxEurop.