Cercando la verità sulla tragedia del Moby Prince
È terribilmente difficile intendere cosa sia la politica, soprattutto quella parlamentare e istituzionale, come concreta amministrazione della cosa pubblica, nella sua complessa e silenziosa prassi quotidiana. E, soprattutto, quale dilatazione dei tempi e quale deformazione dei modi, quella politica possa determinare.
Ecco qui, a nostra disposizione, un caso a suo modo esemplare per alcuni tratti fortemente critici e che, pure, rappresenta un passo avanti indubbiamente positivo.
Venerdì 10 aprile, il senato ha approvato un disegno di legge, firmato da me e dai senatori Silvio Lai, Marco Filippi e Massimo Caleo, che prevede l’istituzione di una commissione d’inchiesta sulla tragedia del Moby Prince, un primo passo per fare luce su quanto accadde la sera del 10 aprile 1991, dopo le conclusioni decisamente insoddisfacenti delle inchieste giudiziarie.
E proprio la data di quella strage porta a una prima realistica considerazione, carica di implicazioni. Ottenere questo risultato politico a un quarto di secolo da quella vicenda induce a riflettere su quanto i tempi della politica siano lunghi, lunghissimi, tanto da apparire insensati.
Alla soddisfazione, per aver fatto un primo passo – atteso e necessario – di un possibile percorso per ottenere verità e giustizia (almeno un po’ di verità e un po’ di giustizia) su uno degli episodi più oscuri della nostra storia recente, si affianca la consapevolezza del ritardo e della fatica con cui siamo arrivati a questo risultato.
Istituire oggi una commissione parlamentare di inchiesta significa farsi carico, dopo tanti decenni, del dolore dei familiari delle vittime, delle loro aspettative residue e dell’estremo atto di fiducia da loro riposta nelle istituzioni di questo paese. L’attività di una commissione di inchiesta potrebbe far sì che quel dolore privato non resti solo un sentimento intimo, ma assuma la forma – come è giusto – di una domanda collettiva e di un impegno pubblico.
D’altra parte, una commissione di inchiesta si imponeva perché i vari passaggi della giustizia penale e civile avevano lasciato più punti controversi e domande inascoltate che risposte credibili. Sarà finalmente possibile affidare alla commissione parlamentare, nonostante il tanto tempo passato, l’impegno a ripercorrere i passaggi, ancora ambigui o decisamente oscuri, di quella tragedia, esplorare le zone rimaste in ombra per arrivare a smentire verità di comodo, costruite su rappresentazioni precarie e su scenari improbabili.
Sono diversi i punti rimasti insoluti dall’ultima inchiesta, quella bis, della procura di Livorno, che si è chiusa nel 2010 con l’archiviazione, dopo quattro anni di indagini. E sono diversi gli elementi emersi nel corso dei supplementi di inchiesta condotti dai legali e dai periti dei familiari delle vittime e che lasciano emergere un quadro completamente diverso degli eventi di contesto che hanno portato alla collisione, la sera del 10 aprile 1991.
Nel 2013 sono poi stati resi pubblici i risultati dell’indagine che i familiari delle vittime hanno affidato allo studio ingegneristico Bardazza di Milano, indagine basata su registrazioni audio e video, documenti e testimonianze analizzati con modalità e tecnologie avanzatissime, cui non era possibile ricorrere anche solo dieci anni fa. Ne è derivato un dossier di quattromila pagine che sottolinea tutte le incongruenze della fase d’indagine emerse dalla nuova ricostruzione dei fatti. A partire dalla posizione della Moby Prince e di quella della petroliera Agip Abruzzo, che porterebbero alla conclusione che lo speronamento di quest’ultima avvenne nella rotta di ritorno verso il porto di Livorno, invece che verso Olbia dove la nave passeggeri era diretta; e dal ruolo, tutto da indagare e tutto da decifrare della nave militare statunitense Gallant 2.
La tenace volontà dei familiari, in questi lunghi anni, ha permesso loro di ripercorrere ogni momento di quella sera, di immaginare dinamiche diverse, di cercare e di scrivere nuove verità. L’istituzione della commissione d’inchiesta può riprendere e rafforzare questa ricerca paziente e dolorosa. Percorrere nuove strade e ripercorrere quelle vecchie non è solo ed esclusivamente una modalità di elaborazione di un lutto incancellabile: può essere un atto politico capace di impedire che prevalga ancora una volta il silenzio.