Ha vinto Tina Fey
L’altra notte si è svolta la cerimonia dei Golden Globe, i premi della stampa estera a Hollywood. A condurre la serata c’erano Tina Fey e Amy Poehler. Il contesto dei Globe è molto divertente anche per la logistica dell’evento: i partecipanti sono seduti al tavolo, bevono e mangiano, e questo del locale con i tavoli è un mondo che ha fatto la storia dello spettacolo, per quanto tendiamo oggi a trascurarlo. Nel clima accogliente del locale con i tavoli, lo stesso delle serate da piacioni di Frank Sinatra o Sam Cooke, gli attori di cinema e tv americani partecipano ai Globe con un gusto da scampagnata che agli Oscar manca.
Sono anche ospiti di una strana accolita di scrocconi europei di stanza a Los Angeles, i giornalisti della stampa straniera, e il tutto profuma vagamente di parastato. Si respira insomma un certo disimpegno giocoso. Il monologo iniziale della cerimonia dei Globe rappresenta una specie di riassunto acidulo e spesso esilarante dell’ultimo anno di pettegolezzi, flop, vanità, plastiche facciali, dichiarazioni improbabili, parti sbagliate, show cancellati, scandali, divorzi e tradimenti. Ridono tutti, le conduttrici vanno giù pesanti, metà sono già sbronzetti e si sbellicano: è tutto molto amichevole.
Sul finale del monologo, l’altra sera, le due, Fey e Poehler, hanno preso per il culo Bill Cosby fingendo che fosse finalmente apparso in televisione per parlare in modo sconnesso di una sua vecchia abitudine: lo stupro di donne precedentemente drogate, su cui negli ultimi mesi sono emersi talmente tanti riscontri da rendere ineluttabile lo scandalo e la costernazione collettiva. Il senso della gag era più o meno “Puoi pure parlarne, ormai, vecchio stronzo!”.
Perché la strategia di Bill Cosby in tutti questi anni è stata quella di non parlarne mai. Mai. Uomo di spettacolo stimato, di enorme successo, forse l’afroamericano più importante nello show business dopo Sidney Poitier e prima di Oprah Winfrey, Cosby era stato solo sfiorato dalle voci relative a qualche suo problema con una donna diversi anni fa. Non era possibile approfondire nulla, lui non ne parlava, nessuno fiatava, gli avvocati minacciavano chiunque toccasse l’argomento, e tutto era nascosto dietro una cortina di “non sta bene” rinforzata dal solito tema razziale: siccome rappresentare l’uomo nero come uno stupratore è da razzisti, non può essere che il più famoso uomo nero d’America sia un “uomo nero”, uno stupratore.
La prima notizia di violenza sessuale di Cosby nei confronti di una donna risale a una decina di anni fa: la direttrice del basket femminile della Temple university, dove Cosby è stato atleta e ricopre cariche di rappresentanza, racconta di essere stata drogata e poi violentata circa un anno prima. Emerge vagamente, poco dopo, una storia che risale agli anni settanta. Poi, nella causa civile della prima vittima contro Cosby vengono ascoltate molte testimoni, e si arriva a una transazione economica prima che queste donne abbiano un nome e una dichiarazione da fare. Tutto si ferma. Negli ultimi dieci anni, lentamente e con grande fatica, emergono altre informazioni che fanno pensare che la pratica droga + abuso sia un modus operandi, e le vittime dello schema siamo molte. Nel 2014 sempre più donne trovano il coraggio e parlano. Cosby tace. Un comico nero e concittadino di Cosby, proprio a Filadelfia pronuncia nel suo monologo la parola rapist, gli dà dello stupratore, e il video gira molto. Aumentano le testimonianze.
Si capisce che c’è una verità nascosta, simile a quella che un anno e mezzo fa ha sconvolto il Regno Unito a proposito di Jimmy Savile, celebre conduttore di Top of the pops e stupratore di adolescenti. La fama e il potere fanno da schermo a questi uomini carismatici con l’abitudine dell’abuso sessuale; i colleghi che vedono o intuiscono girano la testa dall’altra parte per ragioni di opportunità; il senso di impunità di queste persone, suffragato per altro dai fatti, le fa continuare imperterrite, finché qualcuno non parla, viene preso per folle, insiste, e da lì parte la valanga. Jimmy Savile però era morto da un anno quando le battutine sul suo stare sempre con le ragazzine sono diventate drammi, confessioni, denunce e costernazione nazionale. Cosby invece è vivo, fa l’artista, è vecchio, farebbe di tutto per uscire di scena come grande e celebrato protagonista dello spettacolo, del costume, della cultura e dell’arte degli Stati Uniti. E invece no.
Quando si parla male delle nevrosi innegabili di alcuni contesti, e si riduce tutto al semplice disprezzo per il “politicamente corretto” contrapposto a una più desiderabile vecchia maniera alla buona, si dimentica che tra i lati positivi di questo impianto etico di rispetto formale per tutti c’è l’effetto sull’opinione pubblica di notizie come questa. Un muro di “non sta bene”, “non si fa”, “erano altri anni”, “chissà come è andata veramente” rischiava di reggere anche questa volta. Ma una delle poche personalità dello spettacolo americano che ha tirato delle bordate a questo muro prima dell’anno appena trascorso è proprio Tina Fey, della quale per altro Amy Poehler è sodale e autrice da anni. Eccola che bersaglia Bill Cosby un paio di volte ai tempi delle prime accuse, molto prima che altri ne abbiano il coraggio.
L’altra notte, insomma, la gag di Tina e Amy che derideva Bill Cosby non era solo una gag, non si è limitata alla frecciata: era la consacrazione di una vittoria femminista e civile, esibita con stile, nascosta dentro a una battuta. La cosa importante di questa gag non è il testo, non è la buffonaggine dell’imitazione, non è il meccanismo comico: è il tono.
Non c’è una virgola di rispetto, cautela, comprensione, timore reverenziale: al pudore, alla cautela, perfino alla compassione di cui gode uno stupratore famoso, maschio, anziano e quasi cieco, amato da così tante persone di ogni razza ed estrazione sociale, Tina Fey e Amy Poehler hanno risposto con la considerazione che merita un vecchio porco schifoso qualunque.
Una dinamica come questa potrebbe far pensare a un linciaggio senza i minimi requisiti di giustizia e garantismo. Ma nessuno sembrava così disturbato dall’eventualità che le vittime restassero zitte e ferite in silenzio per sempre, e comunque le accuse a carico di Cosby sono troppe e troppo coerenti per essere false. Questa volta è andata così: le repliche dei Robinson (The Cosby show) sono state cancellate, le mostre e le collaborazioni sospese, il senso del venerato maestro non c’è più. Di “vizietti” se ne possono avere tanti nella vita pubblica, quasi qualunque tipo di “piccolo segreto” è lecito quando si piace alla gente, ma lo stupro non rientra più in alcuna delle due categorie. Lo hanno sancito l’altra sera alla cerimonia dei Golden Globe due che gliel’avevano giustamente giurata, e lo hanno fatto con classe. Si vede nei loro occhi anche un senso di autentica soddisfazione.
In una versione precedente di questo articolo facevo riferimento a un’intervista televisiva in cui Cosby aveva risposto delle accuse a suo carico. L’intervista non esiste: Fey e Poehler la citano nella gag per fare del sarcasmo sul fatto che Cosby continui a non parlare assolutamente delle accuse e a non concedere alcuna intervista sull’argomento. Mi scuso dell’errore. MB