Arrival rinnova un genere, tra grande industria e cinema indipendente
Denis Villeneuve si conferma uno dei registi più interessanti del momento, nell’area che sta tra il cinema d’autore e l’industria cinematografica. Arrival è un grande film con star come Jeremy Renner e Amy Adams in stato di grazia, ma il suo tocco personale gli permette di affrontare il tema del dialogo con civiltà aliene in modo originale ed emozionante.
Cos’è. È il nuovo film di Denis Villeneuve, il regista canadese di Enemy, Prisoners e Sicario. Arrival racconta dell’arrivo di dodici enormi astronavi sul pianeta Terra. La linguista Louise Banks (Amy Adams) è ingaggiata dall’esercito, nella persona del colonnello Weber (Forest Whitaker), perché vada nel Montana dove è atterrata una delle astronavi, l’unica sul territorio statunitense. L’obiettivo è instaurare un dialogo con gli alieni e soprattutto capire cosa vogliono. Al suo fianco c’è il fisico Ian Donnelly (Jeremy Renner) con cui comincia a studiare la lingua aliena. Mentre la tensione militare e strategica cresce in tutto il pianeta, i ricordi di un dramma personale riaffiorano alla mente della donna.
Il film è tratto da un racconto di Ted Chiang (tradotto in italiano nell’antologia Storie della tua vita) e sceneggiato da Eric Heisserer (Lights out). Girato a Montréal, Arrival è stato prodotto da 21 Laps Entertainment, società indipendente del regista Shawn Levy. La fotografia è di Bradford Young (1981. Indagine a New York) e le musiche sono di Jóhann Jóhannsson. Presentato a Venezia a settembre e uscito a novembre in gran parte del mondo, Arrival ha avuto un ottimo successo di pubblico ed è considerato uno dei probabili protagonisti dei prossimi Oscar.
Com’è. Quello del contatto con gli alieni è un tema che il cinema frequenta spesso. Tra i tanti film che lo hanno messo in scena ci sono colossi come 2001: Odissea nello spazio, Solaris, Incontri ravvicinati del terzo tipo e molti altri. Per questo, quando un regista ambizioso si confronta con un soggetto del genere, deve decidere se inventarsi un’estetica nuova oppure aderire a un riferimento noto. Villeneuve opta per la prima e costruisce un ambiente quotidiano in cui trovano spazio gli interrogativi esistenziali. Questa sensibilità è esercitata senza magniloquenza e grandi discorsi. Anzi, Arrival è un film chiaramente sobrio per scelta, dove non si spara mai e non si urla se non è strettamente necessario.
La fotografia livida di Bradford Young ha il compito di togliere di mezzo la rappresentazione evocativa della volta celeste, questi dettagli relativi alle profondità siderali che prescindono dalle vite dei personaggi. Al contrario il cielo di Arrival è sempre coperto, vicino, la luce è bassa e gli incarnati sono poco rassicuranti. Questo perché Arrival è un film di fantascienza esistenziale, che mantiene un tono teso e drammatico per tutta la sua durata ma lo fa con un senso di umanità coinvolgente; tiene lo sguardo, anche nel contesto militare del campo base, sempre su Louise e sui suoi sentimenti, più che sulla geopolitica e sulle scelte di strategia. In un film già di suo molto sobrio e intenso, la recitazione di Amy Adams, che coinvolge con poco ed evita qualsiasi virtuosismo da attrice, risulta semplicemente impeccabile. La musica di Jóhannson passa da campiture di suono scarne e astratte a momenti orchestrali che coinvolgono in modo più tradizionale, tenendosi comunque sempre lontano da John Williams.
Denis Villeneuve è da sempre un maestro nella costruzione di un ambiente che preme sui personaggi e li porta a reagire. Già in Enemy e in Sicario questa dinamica era centrale, ma Arrival dimostra quanto questo tocco d’autore sia adatto alla fantascienza intima di cui Chiang, l’autore della storia, è un maestro. I flashback bucolici e sentimentali di Louise contrastano con il resto e ricordano alcune atmosfere di The tree of life di Terence Malick.
Villeneuve tocca il tema del tempo con una delicatezza che il Nolan di Interstellar non ha mai trovato
Perché vederlo. Arrival è un film originale sia in assoluto sia all’interno del genere a cui appartiene. Come film di fantascienza e di alieni lo è perché immagina l’altro con un punto di vista empatico: alieni ed esseri umani non si fronteggiano come bestie o nemici, ma comunicano come persone. E quando Villeneuve tocca il tema del tempo, lo fa con una delicatezza che il Nolan di Interstellar non ha mai trovato. Anche nella produzione si tratta di un film particolare, a cavallo tra Hollywood e indipendenti. Lo stile e la personalità dello sguardo sono quelli di un autore che lavora per una casa di produzione indipendente, ma i budget e le star sono da grande produzione.
Ma al di là di tutto, rispetto a qualsiasi altro film di missioni spaziali e alieni, Arrival coinvolge per ragioni soprattutto umane, e lo fa con classe. È un bel film che gode della dote principale del suo regista: la capacità di avere uno sguardo molto riconoscibile sulle cose, uno stile e un punto di vista personali, ma rimanendo sempre al servizio del film e senza mettersi mai in mezzo tra spettatore e personaggi.
Perché non vederlo. Questo film può deludere a mio parere per due motivi. Da una parte c’è l’aspettativa legata al film di alieni, con il suo armamentario di raggi della morte, spavento, militari urlanti e creature temibili e meravigliose: Arrival non è quel tipo di film, è cupo senza essere un thriller e serio senza essere militaresco. E poi c’è il suo lato sentimentale, quasi sdolcinato sia nel senso sia nell’estetica, che per alcuni può risultare eccessivo e/o poco coerente con il resto. Infine c’è, nello svolgimento della storia, un’accelerazione forse un po’ sproporzionata prima del finale.
Una battuta. Avevo dimenticato quanto è bello farmi stringere da te.