La metamorfosi dei cinquestelle da Grillo a Di Maio
Saranno loro i vincitori? Tutti i sondaggi pubblicati fino al 17 febbraio lasciano pochi dubbi almeno su un punto: il Movimento 5 stelle sarà il più forte partito italiano, in grado di mandare in parlamento più o meno 250 tra deputati e senatori.
La campagna elettorale che hanno condotto finora è ben diversa da quella del 2013. Allora il protagonista era uno solo: Beppe Grillo, anche se lui stesso non era neanche tra i candidati. Era lui ad attraversare il paese da nord a sud con il suo Tsunami tour, a riempire le piazze, ad attirare migliaia e migliaia di persone davanti alle quali urlava il suo e il loro sdegno contro la casta, la corruzione, ma anche contro l’Unione europea e l’euro.
Il rito dei suoi show era sempre uguale, fino alla chiusura trionfale in piazza San Giovanni a Roma, con centinaia di migliaia di persone sotto al palco: lui da solo a sgolarsi e alle sue spalle un gruppetto di perfetti sconosciuti, sostanzialmente muti, ma destinati a entrare in parlamento come “portavoce” dei cittadini. Il comico e i suoi erano presenti nelle piazze, ma del tutto assenti in tv, principale luogo di campagna elettorale degli altri partiti.
Dalle piazze alla tv
E oggi? Invece delle piazze gremite intorno all’istrionico Grillo anche l’M5s ha scelto teatri o palestre per le sue manifestazioni elettorali. Al posto del fondatore – quasi del tutto assente – il giovane Luigi Di Maio gira il paese e parla davanti a manifesti con scritto “Di Maio presidente”, e non mette in scena uno show, ma un discorso dai toni pacati anche se decisi, ferocemente critico verso le altre forze politiche, però privo delle invettive a cui ci eravamo abituati.
Invece dei tanti giovani che parteciparono agli appuntamenti del 2013, oggi prevalgono persone di mezza età, spesso in giacca e cravatta, spesso in rappresentanza di ordini professionali e associazioni di categoria. Inoltre, i candidati locali presenti ai comizi non sono più dei perfetti sconosciuti, ma spesso parlamentari uscenti o nomi più o meno noti della società civile. Sono finiti anche i tempi in cui i cinquestelle snobbavano il piccolo schermo: i suoi rappresentati, a cominciare da Di Maio, partecipano a talk show e trasmissioni varie come quelli degli altri partiti.
Per molti versi ha quindi sorpreso, l’M5s. Intanto, non solo perché è cambiato, ma forse ancora di più perché è sopravvissuto. Tanti lo vedevano – lo volevano vedere – come un fenomeno effimero, un “one man show” privo di consistenza, in cui un comico un po’ invasato aveva trascinato un esercito di dilettanti allo sbaraglio. Esercito che con il passare dei giorni aveva tra l’altro dovuto fare i conti con epurazioni e defezioni: su circa 160 parlamentari, una quarantina hanno lasciato, o hanno dovuto lasciare, il movimento.
Sopravvissuti
Questo salasso non ha però indebolito il partito; come non ha fatto danni l’espulsione di Federico Pizzarotti, sindaco di Parma; come non hanno pesato le dubbie prove di governo a Roma e a Torino, conquistate dai cinquestelle nel 2016; come non sembra avere conseguenze la storia dei mancati rimborsi di una dozzina di parlamentari pentastellati.
L’elettorato dei cinquestelle, a quanto pare, non ignora queste storie, ma le pesa a modo suo e arriva alla conclusione che di fronte agli scandali altrui, quelli targati M5s sono poca cosa. Va aggiunto il fatto che la leadership del movimento si mostra alquanto intransigente – a differenza di quella degli altri partiti – verso quei candidati che sbagliano, segnando in questo modo una distanza, almeno a livello di immagine.
Ma i cinquestelle sono sopravvissuti anche alla morte di Gianroberto Casaleggio, al ritiro di Grillo dalla leadership attiva. Ormai hanno un gruppo dirigente, una struttura ramificata, un radicamento territoriale che gli permette di andare oltre l’immagine di movimento virtuale, presente solo sul web. Sono sopravvissuti soprattutto perché la loro offerta incontra una domanda consistente. L’Europa ormai pullula di forze che sfidano i partiti tradizionali e si erigono a paladine nello scontro tra i cittadini e la “casta”. Ci sono, tra gli altri, i populisti di destra dell’Ukip nel Regno Unito, il Front national in Francia, l’Alternative für Deutschland in Germania, Die Freiheitlichen in Austria e il partito di Geerd Wilders nei Paesi Bassi. E poi le nuove forze di sinistra come Syriza in Grecia e Podemos in Spagna.
Trasversalità
L’M5s fa storia a sé. È riuscito a far passare il messaggio di non essere né di destra né di sinistra e di essere governato “dalle idee, non dalle ideologie”. E che per questo riesce ad attingere a un elettorato del tutto trasversale, da nord a sud, di sinistra e di destra, fatto di borghesi ma anche di operai e disoccupati, i quali sono ormai la prima forza fra i ceti attivi – e quella più rappresentativa tra i 25 e i 54 anni.
I cinquestelle – finora con successo – si stanno giocando la carta della trasversalità anche in questa campagna elettorale, con un programma che tiene conto delle esigenze degli imprenditori (sulla tassazione) ma anche dei lavoratori (sull’articolo 18 o la legge Fornero), dei simpatizzanti di sinistra (reddito di cittadinanza ed ecologia) ma anche di quelli di destra (controllo più rigido sull’immigrazione e investimento sulla sicurezza).
Inoltre, Di Maio e i suoi hanno pensato bene di disinnescare una della vecchie richieste del movimento, e cioè quella di un referendum per uscire dall’euro. Certo, tanti italiani non amano l’Unione e la moneta unica, ma pochi vorrebbero esporsi al rischio di un’Italexit dalle conseguenze imprevedibili. L’uscita dall’euro è stata cassata a favore di una rinegoziazione dei patti europei – un po’ quello che chiedono quasi tutti i leader politici italiani, da Renzi a Berlusconi.
Questa trasversalità – unica in Europa – spiega come mai i cinquestelle possono aspirare a diventare il primo partito in Italia. Tutt’altra questione è se possono diventare forza di governo. Non soltanto perché c’è chi fa molta resistenza, in Italia e all’estero – l’Europa ha riscoperto Berlusconi nel ruolo finora mai rivestito di “baluardo contro il populismo”, per esempio. Ma anche perché, una volta investiti dalla responsabilità di governare, i cinquestelle sarebbero messi a dura prova, dovendo fornire risposte non più ecumeniche e trasversali, ma precise, rischiando così di scontentare almeno una parte dei quegli elettori che sembrano provenire sia da destra sia da sinistra. Ma questo capitolo si aprirà semmai dopo le elezioni, non prima.