Matteo Renzi, la crisi e un governo senza bussola politica
Alcuni giorni fa è stato pubblicato un sondaggio in cui metà degli italiani dichiara di non capire le ragioni della crisi di governo. Colpisce quel dato, ma piuttosto per l’altra metà: quella convinta di averci capito qualcosa. Risulta infatti del tutto incomprensibile la decisione di Matteo Renzi di staccare la spina al governo Conte proprio ora, nel mezzo della pandemia e nel momento in cui l’Italia dovrebbe concentrare le sue energie sull’elaborazione del piano di ripresa economica.
E risulta ancora più incomprensibile di fronte al fatto che Renzi – capo di un partito che vale sì e no il 3 per cento – abbia ottenuto molto nelle trattative delle ultime settimane con Conte e con gli altri partner della coalizione. Il presidente del consiglio ha ceduto sul gruppo che si dovrebbe occupare del piano europeo per la ripresa (recovery plan), sulla delega per i servizi segreti che voleva tenere per sé, sull’agenzia per la cibersicurezza. Anche il piano di rilancio è stato riscritto in larga parte per venire incontro a Renzi .
Certo, Conte ha ribadito che non chiederà all’Unione europea i 37 miliardi di euro della linea speciale di credito destinata alla sanità del fondo “salva stati” europeo, il Mes, e non ha inserito il ponte di Messina nel programma di governo. Ma era pure disponibile a concedere ministeri ben più pesanti a Italia viva. Ha probabilmente ragione Romano Prodi quando afferma che Renzi voleva comunque rompere, e che – se necessario – avrebbe chiesto finanche “un ponte per la Sardegna” pur di litigare con Conte.
Un’azione lineare
Ma invece di buttarla sull’ego smisurato di un megalomane dovremmo prendere atto che Renzi, e non da ieri, agisce in maniera del tutto lineare. Sorprese tutti, nell’agosto 2019, quando di fronte alla crisi del primo governo Conte, propose la coalizione tra il Partito democratico – a cui ancora apparteneva, anche se ormai solo come leader della minoranza – e il Movimento 5 stelle, al quale fino al giorno prima lo legava solo una cordialissima inimicizia, fatta di attacchi e insulti reciproci. Quell’alleanza improvvisata aveva il suo perché: si trattava di bloccare l’ascesa di Matteo Salvini e della sua Lega ai “pieni poteri”.
Ma per Renzi significava anche altro. L’ex premier doveva garantirsi il tempo necessario per organizzare la scissione dal Pd, che in caso di elezioni immediate non avrebbe avuto. Era questa la sua seconda decisione apparentemente assurda, dopo quella di allearsi con l’arcinemico cinquestelle: spaccare il partito malgrado gli avesse dato retta proprio sulla soluzione della crisi di governo.
Tuttavia, per Renzi quella scissione aveva il suo perché. Il Pd, ormai sotto la guida di Nicola Zingaretti, gli stava troppo stretto perché “troppo di sinistra”. Renzi sognava di diventare il Macron italiano, che avrebbe dissanguato il Pd con la sua nuova creatura di centro così come Emmanuel Macron aveva dissanguato il Partito socialista francese.
La pandemia è un ottimo argomento per non scatenare una crisi politica
Non è andata così. Il Pd in tutti i sondaggi sta al 20 per cento, Italia viva al 3 per cento. Riconquistare visibilità e centralità politica è diventato quindi l’imperativo per Renzi. Probabilmente avrebbe rotto già dieci mesi fa un’alleanza di governo in cui rischiava di diventare del tutto marginale. In quel momento, il secondo governo Conte, dopo neanche sei mesi di vita, si presentava esangue, senza un progetto, tenuto insieme sostanzialmente solo dalla paura dei suoi partner nei confronti di Matteo Salvini. Ma poi la pandemia ha colpito violentemente l’Italia.
Bisogna dire che almeno nell’emergenza sanitaria – ma anche rispetto alle sue conseguenze economiche e sociali – il governo Conte ha finalmente dato segni di vita. Certo, ha commesso mille errori (come tutti i governi europei di fronte a una sfida inedita), ma nella gestione della crisi ha dimostrato maggiori capacità di tanti altri governi nell’Ue.
E soprattutto ha saputo convincere gli altri partner europei che era necessario varare il piano Next generation Eu per il rilancio, che per la prima volta nella storia dell’Unione contempla un indebitamento comune, e di cui l’Italia con 209 miliardi di euro approfitta come nessun altro paese.
Dice Renzi che un governo non può essere tenuto insieme “soltanto dalla pandemia”. Viene da rispondergli che in questo momento la pandemia è un ottimo argomento per non scatenare una crisi politica, una crisi che costa caro alla credibilità dell’Italia in Europa.
D’altro canto Renzi ha ragione quando lamenta che il governo Conte bis è stato un governo “senz’anima”. Potremmo aggiungere: un governo tenuto insieme ancora oggi soprattutto dalla paura della destra populista. Non può essere altrimenti, dato che il partner numericamente più forte in parlamento, l’M5s, si trova senza una leadership e si chiede a sua volta quale sia la sua anima. I cinquestelle, proprio durante il governo Conte bis hanno compiuto un’evoluzione impressionante in un punto centrale – come porsi nei confronti dell’Ue – posizionandosi come forza europeista. Ma a parte la sempre (a ragione) evocata “onestà” non si sa bene quale sia la loro bussola.
Ora, a quanto pare, Conte vuole salvarsi grazie a un manipolo di “responsabili”, anzi di “costruttori europei”. Dovrebbero nascere dei gruppi parlamentari, addirittura si vocifera di un “partito di Conte”. Ma di nuovo si pone la domanda: con quale anima? Qual è la bussola di Conte che ha governato prima con la Lega e poi con il Pd senza soluzione di continuità? Sostituire Italia viva con un gruppo raccogliticcio di deputati e senatori di centro aiuterà forse la coalizione a sbarazzarsi di Renzi, ma non è sufficiente a creare una coalizione con un progetto che vada al di là dello spirito di mera sopravvivenza e che permetta a un rinnovato centrosinistra di diventare un serio concorrente della destra simil-trumpiana di Salvini e Meloni.