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Gli scudi umani contro la violenza della polizia statunitense

Le attiviste del gruppo del “muro di madri” durante una manifestazione a Portland, Oregon, 21 luglio 2020. (Paula Bronstein, Washington Post/Getty Images)

Le truppe federali inviate dal presidente Donald Trump a Portland per reprimere le manifestazioni si sono ritirate. Per analizzare meglio quello che è successo nella città statunitense però bisogna concentrarsi sulla mobilitazione di tutte le persone scese in strada come scudi umani. Tutto è cominciato quando centinaia di madri hanno indossato magliette gialle, caschi da bicicletta e occhiali protettivi improvvisati e hanno usato il loro corpo per proteggere i manifestanti del movimento Black lives matter. Coniugando il ruolo materno con quella che un’attivista ha definito l’“innocenza delle donne bianche”, il “muro di madri” ha sfruttato il proprio privilegio per provare a proteggere i manifestanti dalla violenza del governo federale. “Non sparate a vostra madre”, hanno urlato le donne mentre formavano una barricata umana di fronte al tribunale.

I soldati federali, inviati a fine giugno da Donald Trump per proteggere statue, monumenti ed edifici presi di mira dai manifestanti, hanno fatto di tutto per tenere lontani gli attivisti e hanno lanciato gas lacrimogeni, dimostrando che neanche le madri bianche possono essere un deterrente contro la violenza della forze dell’ordine.

Nei giorni successivi i padri si sono uniti alle madri. Vestiti d’arancione e armati di soffiatori di foglie per disperdere il gas lacrimogeno, hanno formato un “blocco di padri”. Neanche loro, tuttavia, sono riusciti a proteggere i manifestanti.

Poi sono arrivati i veterani. Dopo aver visto un filmato nel quale un veterano disabile della marina veniva picchiato dai soldati federali, gli ex combattenti di Portland hanno organizzato il loro muro e il 24 luglio si sono uniti ai manifestanti. “Picchiare… madri, veterani disabili, e minoranze” è una cosa sbagliata, ha dichiarato uno degli uomini che ha contributo a formare un cordone di sicurezza intorno agli attivisti. “Quando è troppo!”.

Quella di Portland non è stata la prima volta in cui dei veterani hanno formato una barricata umana per proteggere i manifestanti. Quattro anni fa duemila di loro erano andati nella riserva Sioux di Standing rock per fare da scudi umani, dopo aver visto immagini di manifestanti pacifici aggrediti dai cani degli addetti alla sicurezza, attaccati con cannoni ad acqua a temperature sotto lo zero, e bersaglio di pallottole di gomma, spray al peperoncino e munizioni con cartucce bean bag (che contengono pallini di piombo).

Il fatto che sempre più persone debbano usare i propri corpi come scudi umani per proteggere i manifestanti evidenzia quanto si siano militarizzate le forze di polizia statunitensi. In numerose città i dipartimenti di polizia si sono effettivamente dotati di Humvee (mezzi di ricognizione dell’esercito), elicotteri e perfino carri armati, mentre gli agenti sono stati addestrati da ex soldati delle forze speciali, Navy Seal (unità speciali della marina), o ranger dell’esercito. Simili cambiamenti, insieme ai tentativi del presidente Trump di far apparire i manifestanti come nemici dello stato, e alla sua decisione d’inviare truppe federali a Portland, sono fondamentali per comprendere l’alto livello di violenza usato contro i manifestanti di Black Lives Matter.

L’introduzione di strategie belliche nelle manifestazioni, tra cui l’uso di granate stordenti, pallottole di gomma e squadre antisommossa in assetto militare, tuttavia, non ha solo determinato un aumento della violenza da parte dei rappresentanti dello stato. Ha anche spinto i cittadini, perfino quelli meno politicizzati, a unirsi alle proteste civili e ad adottare forme di difesa usate nei conflitti armati. In altre parole, mentre gli agenti di polizia diventavano sempre più simili a militari, i cittadini somigliano sempre di più a civili in zone di guerra.

Sembra quasi che madri, padri e veterani che hanno volontariamente fatto da scudi umani a Portland stiano adottando strategie elaborate dagli attivisti pacifisti transnazionali, come quelli di Human shield action, che andarono in Iraq durante la seconda guerra del golfo per impedire alla coalizione guidata dagli americani di bombardare alcune zone abitate dai civili.

Di sicuro fare un paragone tra le persone intrappolate nel cuore di una guerra e i cittadini che protestano significa cancellare la differenza sostanziale tra i livelli di violenza di questi scenari. Eppure, in modo simile ai civili più colpiti dalla violenza all’epoca della “guerra al terrore” in Medio Oriente e in Africa, gli afroamericani e i nativi americani sono i principali bersagli della violenza di stato.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista statunitense Newsweek.

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