Gli Stati Uniti vogliono sfuggire alle loro responsabilità in Afghanistan
Gli Stati Uniti sostengono di voler salvaguardare i progressi fatti negli ultimi vent’anni in Afghanistan, ma vogliono anche sfuggire ogni responsabilità nei confronti del paese, come dimostrano le ultime osservazioni del presidente Joe Biden e la sua decisione di ritirare le truppe dal paese.
Biden ha dichiarato che la ragione per cui gli Stati Uniti e i loro alleati sono entrati in Afghanistan non serve più a giustificare la loro presenza nel paese. Il presidente ha ignorato il fatto che gli Stati Uniti hanno scelto di presentare l’intervento come una missione di liberazione.
Quindi, in un momento storico così critico, è lecito chiedersi: sono stati davvero fatti dei progressi negli ultimi vent’anni? E l’Afghanistan sarà in grado di gestire questi progressi dopo che gli Stati Uniti se ne saranno andati? Era fondamentale mostrare al popolo afgano ciò che la democrazia poteva offrirgli e quale sarebbe stato il suo peso all’interno del nuovo ordine. Ma questo non ha frenato lo storico accumulo di ricchezza e di potere nelle mani delle élite, che anzi ne sono uscite rafforzate.
Il problema reale
Gli Stati Uniti hanno sempre mantenuto il governo dell’Afghanistan sull’orlo del collasso e in stato di assoluta dipendenza, perché non dimenticasse chi comandava davvero. La strategia di Washington di buttare soldi nelle vicende politiche interne al paese ignorando le questioni fondamentali ha ulteriormente esacerbato l’opposizione al governo espressa dalla popolazione delle aree rurali.
Ne sono esempi lampanti i tentativi di ricucire compiuti dagli inviati statunitensi dopo le ultime due elezioni presidenziali. Laddove le nuove democrazie, con il tempo, evolvono e i loro processi elettorali diventano più fluidi, la nostra continua a diventare sempre più vergognosa e corrotta. Ma anche i governi che imbrogliano per salire al potere non fanno un lavoro migliore.
I taliban non sono nati nel vuoto, e sono stati accolti a braccia aperte dal popolo afgano
I taliban non hanno avuto bisogno di dimostrarsi migliori del governo. Gli è bastato sabotare qualsiasi parvenza di stato che stava tentando di mettersi in piedi. La corruzione dilagante ha confermato la loro descrizione del governo, definito uno stato senza dio. Qualsiasi futuro accordo politico coinvolgerebbe le stesse élite che hanno contribuito al fallimento del sistema attuale. Che speranza d’integrazione sociale potrebbe esserci, se gestita da individui così corrotti quando i bilanci e i programmi non raggiungono i loro obiettivi?
L’insurrezione e la violenza erano solo sintomi del problema reale. I taliban non sono nati nel vuoto. In passato sono stati accolti a braccia aperte dal popolo afgano, e nulla è stato fatto per cambiare questa mentalità. L’ideologia strutturale che ha permesso la nascita dei taliban è ancora presente. La mentalità della folla che si è riunita per vedere una donna frustata per adulterio a Herat qualche giorno fa, due decenni dopo l’intervento americano, è la prova di come il progresso sbandierato sia arrivato solo all’interno di sacche ristrette delle grandi città, e non sia mai riuscito a diffondersi.
Il cittadino afgano comune delle zone rurali non ha mai potuto vedere questo nuovo Afghanistan che gli era stato promesso. L’unica cosa che ha potuto fare è stata osservare quanto sia incompetente, corrotta e disfunzionale questa presunta democrazia imposta dall’estero, e dare ascolto alla propaganda secondo la quale tutti i cambiamenti avvenuti sono contrari agli insegnamenti dell’islam.
Solo chi vive nelle città ha avuto un assaggio di come potrebbero essere le loro vite e i loro diritti. Una generazione che non è cresciuta nell’Afghanistan del passato vivrà con la falsa promessa di una democrazia che rispetta la volontà del popolo. Ci aspettiamo che i taliban si dissolvano all’interno dell’attuale ordine sociale, ma la triste realtà è che anche se si decidesse di indire delle elezioni, la voce dei moderati si perderebbe nella cacofonia generale, dominata da coloro che hanno le stesse convinzioni precedenti al 2001. O che, probabilmente, oggi sono ancora più radicalizzati di allora.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è uscito sul sito della tv afgana Tolonews.