Ad Atene è arrivato il freddo. S’infila tra i cantieri navali abbandonati del porto, risale su via Pireos e avvolge piazza Omonoia, scende dalle colline del Licabetto e di Filopappo e s’impadronisce delle vie di Exarchia. Ad Atene il freddo agisce come un catalizzatore della povertà. Senza il sole, che come un filtro di Photoshop nasconde tutto, la città appare come un gigantesco palinsesto scalcinato, composto da un’interminabile sovrapposizione di rovine: rovine greche, romane, bizantine e ottomane, frammenti dell’imperialismo inglese e tedesco, rovine moderniste, resti della rivoluzione industriale, residui dell’era elettrica, rifiuti della diaspora capitalistica globale, scheletri di automobili carbonizzate e abbandonate dopo i baccanali di fuoco degli anarchici, e così via. Al di sopra di tutti questi strati si levano ormai le nuove rovine neoliberiste lasciate dal crollo europeo. Di fronte agli edifici del parlamento e della biblioteca nazionale, i cani randagi, sorta di anima congelata della cittadinanza, giacciono immobili, attorcigliati su loro stessi. Chi si scalda con il debito greco?

All’interno delle case, il calo della temperatura si trasforma in segno di precarietà degli abitanti. Nella maggior parte degli edifici dotati di riscaldamento centralizzato i radiatori vengono spenti per risparmiare. Usare radiatori elettrici non è un’opzione: in seguito alla decisione politica di prelevare un’imposta immobiliare tramite la bolletta elettrica, negli ultimi anni il costo dell’elettricità è aumentato del trenta per cento e oggi è più alto che in Germania o in Francia. I salotti delle abitazioni ateniesi si trasformano in steppe, mentre i corridoi diventano colline gelate nelle quali ci si può avventurare solo coperti da un cappotto. Soltanto la stanza più piccola della casa, come un rifugio in un paesaggio polare, rimane calda grazie a una stufa. I letti smettono di essere luoghi sessuali e si trasformano in casti sofà nei quali due o più persone discutono sotto le coperte. Chi si scalda con il debito greco?

Nell’appartamento di Marina, il contrasto tra la stanza riscaldata e il resto della casa ha attirato gli scarafaggi. Chiamiamo una società di disinfestazione. La segretaria è categorica: “Sono le merkelitas, gli scarafaggi biondi che infestano le case greche. Domani vi mandiamo un servizio di disinfestazione. Sono cinquanta euro, veleno incluso”. Dopo il passaggio del disinfestatore, il pavimento si copre di decine di merkelitas morte. Chi si scalda con il debito greco?

Anch’io desidero una rivolta totale delle rovine, una levitazione delle rovine-museo violentate

La differenza di temperatura colpisce anche gli edifici pubblici. Le sale vuote, silenziose e ghiacciate. Riscaldati dal respiro monotono dei piccoli radiatori elettrici, gli uffici sono rumorosi e soffocanti. In uno di questi qualcuno evoca il trasferimento di quarantamila rifugiati da uno stadio sportivo all’ex aeroporto situato fuori città, a Elliniko. “Non possono restare nei parchi con questo freddo. E poi la Germania promette di migliorare le condizioni di ristrutturazione del debito se li teniamo dentro le nostre frontiere”. E aggiunge: “Offriremo loro cibo e un tetto, ma in cambio dovranno lavorare gratis”. Chi si scalda con il debito greco?

I musei e le istituzioni pubbliche di Atene sono gelate: possono a malapena programmare nuovi eventi perché i fondi che ricevono sono interamente usati per pagare i salari e le fatture arretrate e per rimborsare i debiti. Parlando dei fondi pubblici e di quelli privati, del caldo e del freddo, un importante organizzatore culturale non ha paura di formulare un’ipotesi che si fonda su quella che, per lui, è un’evidenza politico-sessuale: “Nessuno vuole dirigere un museo in Grecia. Quando qui ti propongono di dirigere un museo, è come se ti offrissero di sposarti con una donna che è già stata violentata due volte”. Ecco la nuova politica tecnico-finanziario-patriarcale: un bilancio, un direttore, uno stupratore, un marito. Chi si scalda con il debito greco?

Mi torna in mente l’immagine di un edificio modernista ateniese che si alza e cammina, creata dall’architetto greco Andreas Angelidakis. Ispirandosi alla mitologia nordica, Angelidakis ha immaginato che l’edificio Chara (”allegria”), costruito nel 1960 dagli architetti Spanos e Papadopoulos, si trasformi in un gigantesco troll che rescinde le sue radici di cemento per staccarsi dal terreno e allontanarsi da una città divenuta tossica. Angelidakis sogna delle rovine capaci di prendere vita e sfuggire al contesto politico ed economico che le opprime. Anch’io desidero una rivolta totale delle rovine, una levitazione delle rovine-museo violentate che, senza più cercare né un gestore, né un bilancio, né un padre, né un marito, né un direttore, fuggano dalla città neoliberista.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato su Libération.

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