Le ragioni per essere ottimistз
Amicз miз, sono pienǝ di gioia. Non perché le cose vadano bene, come potete immaginare. Non c’è un solo spazio sociale nel quale i segni del progresso delle tecnologie della morte non possano essere avvertiti come una minaccia imminente a tutto ciò che è vivo. Abbiamo distrutto l’ecosistema più negli ultimi due secoli che in due milioni di anni, durante tutta la storia dell’olocene. Quello che finora abbiamo chiamato neoliberalismo deve essere ridefinito come necro-umanesimo: la specializzazione delle tecnologie dei governi capitalisti petrol-sesso-razziali nel trasformare la vita, tutta la vita, in capitale morto, lavoro riproduttivo e piacere morto.
Abbiamo fatto della biosfera e di tutto quello che abita in essa una fonte di energia che cerchiamo di estrarre e accumulare. Abbiamo strappato dalla Terra ognuno dei suoi organi ed estratto ognuno dei suoi fluidi. Razzializzazione e sessualizzazione gerarchica della specie umana, estrazione mineraria, disboscamento, distruzione dell’ecosistema marino, industrializzazione della riproduzione animale e umana, sviluppo delle industrie belliche… Come se tutto questo fosse poco. Ci piace vivere così: siamo dipendenti dal consumo di capitale morto ed estraiamo piacere da questo processo di fabbricazione della morte.
Non ci sono, mi rimprovererete, ragioni per essere ottimistз. Ma l’ottimismo non è un sentimento psicologico di speranza, e non è nemmeno la tranquilla certezza che sorge dal non conoscere lo stato di distruzione del mondo. L’ottimismo è una metodologia. Abbiamo la capacità collettiva di prendere coscienza di ciò che succede e, per la prima volta nella storia, di condividere questa esperienza su scala planetaria: scambiare tecnologie sociali, conoscenze, precetti, affetti e far sì che le pratiche e i saperi che finora erano subalterni possano essere condivisi trasversalmente.
Farsi carico del proprio corpo vivo
Prendere coscienza comporta, come ci ha insegnato Édouard Glissant, tremare: sentire che siamo parte del problema che vogliamo risolvere. E, pertanto, capire che non ci sarà alcun cambiamento possibile che non implichi una mutazione dei nostri propri processi di soggettivazione politica, dei nostri modi di produzione, di consumo, di riproduzione, di nominazione, di relazione, delle nostre modalità di rappresentare, di desiderare, di amare. Prendere coscienza è farsi carico del fatto che il nostro proprio corpo vivo e desiderante è l’unica tecnologia sociale che può portare a termine il cambiamento. Noi siamo le crepe dei poli, l’Amazzonia disboscata. Siamo il deserto che avanza nel Madagascar. Siamo il buco dell’ozono.
Per questo, mentre tremo, nel bel mezzo del disastro, mi invade il più raggiante degli ottimismi. Altri diranno che è ormai troppo tardi. Ma la dislocazione, la fuga e la scissione di fronte alle forme dominanti del capitalismo mondiale sono già cominciate. Il desiderio e il piacere stanno mutando e con loro la nostra capacità di uscire dalla dipendenza capitalista e petrol-sesso-razziale.
Vi ho visto uscire a centinaia dalla metro della Place Clichy, arrivare da ogni strada, dal nord e dal sud, dalle banlieue e dal centro di Parigi, camminare sole, in gruppo, arrivare in bici, in monopattino o a piedi, e riunirvi come uno stormo di uccelli che volano e si posano all’unisono. Vi ho visto avanzare senza paura fino al tribunale per urlare insieme, in mille lingue, il nome di Adama Traorè. Vi ho sentito urlare, dall’altro lato dell’Atlantico, i nomi di George Floyd, Jamal Sutherland, Patrick Warren Sr, Kevin Lavira Desir, Erick Mejía, Randy Miller. Vi ho visto scrivere sui muri i nomi di Patsy Andrea Delgado, Alexa Luciano Ruiz, Serena Angelique Velázquez, Layla Pelaez, Yampi Méndez Arocho, Penélope Diaz Ramírez, Michelle Michellyn Ramos Vargas, Selena Reyes-Hernández Valera, Ebeng Mayor… Vi ho visto andare in strada a Valparaíso, occupare piazza Taksim a Istanbul, in Bolivia, a Los Angeles, a San Francisco, alla Puerta del Sol di Madrid, davanti alla Escuela normal rural de Ayotzinapa.
Avete cominciato una sollevazione mondiale contro l’uso della violenza e della morte come forma di governo della Terra. State osando diserotizzare l’oppressione e la violenza sessuale. State derazzializzando la pelle. La storia della violenza si ferma al vostro sguardo. Una rivoluzione comincia così, con uno scuotimento del tempo che fa sì che la ripetizione ostinata dell’oppressione si fermi perché possa cominciare il nuovo adesso. Tutto deve cambiare. Mentre cammino tra di voi, ho la certezza del fatto che si sta forgiando una nuova alleanza somatopolitica che può portare a termine la transizione politica verso un nuovo regime. “La storia non ha fatto altro che cominciare”.
Ho camminato insieme a voi.
L’apparente soggetto della rivoluzione che sta avendo luogo si confonde a volte con le donne, o le persone trans, o le persone razzializzate, o le persone migranti… ma lo spazio politico verso il quale puntava la lotta era più in là di queste identità inventate dalla tassonomia petrol-sesso-razziale della modernità. Siete statз sessualizzatз, razzializzatз, binarizzatз, criminalizzatз… e chi non si sente parte di queste sacche somatopolitiche non deve più spiegare la ragione, non deve più dire che c’è altro che vuole rivendicare, altrimenti che si unisca a voi. Non siete più una classe sociale, un genere o un sesso preciso, non siete esattamente proletari, né solo esattamente donne, nemmeno semplicemente omosessuali, nere o trans. Non cercate di risolvere gli antagonismi attraverso una relazione dialettica. Siete una scissione creativa. Il vostro compito politico sarà quello di articolare queste differenze eterogenee senza totalizzarle, né unificarle fittiziamente sotto una supposta identità o ideologia. Essere una zona ad alta intensità di passione attraverso la quale passa il desiderio di cambiare tutto. Uscire dai significanti dispotici dell’identità. Non si tratta più di Nietzsche: tutti i nomi della storia sono il tuo nome. Qui si tratta di Gloria Anzaldúa: la storia ancora non conosce il vostro nome.
Adesso voglio parlarvi come essere vivo, come potenza desiderante, come corpo sensibile che eccede le tassonomie binarie della modernità
Altre volte quando ho parlato di questa alleanza possibile mi hanno tacciato di ingenuità, di utopismo. Ma questo movimento non è più una semplice manifestazione per una riforma legale; è un programma di trasformazione radicale. Non siete venutз per chiedere l’uguaglianza davanti alla legge o la parità salariale. Seguendo il movimento portato avanti da Angela Davis negli Stati Uniti, chiedete di destituire la polizia e le istituzioni punitive dello stato. Non siete venutз a dare impulso a una economia verde, chiedete la totale destituzione del sistema di produzione capitalista. La rivoluzione ecologista, transfemminista e antirazzista che stava nascendo prima del virus è forse fragile, ma risulta inarrestabile. Siete qui, mi state circondando.
Per questo non ho più paura di quello che potrà succedere.
Siete giovani, quasi bambinз e osate guardare in faccia la polizia che vi circonda. Forse si vergogna la polizia di essere vestita come per andare in guerra davanti a voi, una moltitudine di ragazzettз disarmatз e quasi nudз? Mi riferisco a voi usando il genere non binario non perché tra voi non ci siano corpi ai quali non sia stato assegnato il genere maschile o femminile o che non si identificano come non binariз. Lo faccio per restituirvi la non binarietà che vi spetta. Quella che vi è dovuta e vi è stata sottratta. E per sottolineare che è il corpo vivo, in ribellione contro l’epistemologia petrol-sesso-razziale, quello che si erge adesso contro il passato.
Per anni mi sono rivolto a voi prima come lesbica, poi come trans, come corpo di genere non binario, come migrante, come straniero… Adesso voglio parlarvi come essere vivo, non come organismo oggetto del discorso biologico o medico, nemmeno come forza riproduttiva o produttiva. Ma come potenza desiderante, come corpo sensibile che eccede le tassonomie binarie della modernità. E vi interpello in quanto tutto ciò che siete, situati nella densa rete di poteri economici, razziali, sessuali, corporei. Con la vostra propria storia di oppressione e di sopravvivenza.
Dicono, come scrisse June Jordan, che avete l’età sbagliata, la pelle sbagliata, il sesso sbagliato, i capelli sbagliati, il velo sbagliato, il genere sbagliato, il desiderio sbagliato, il sogno sbagliato, i documenti sbagliati, le scarpe sbagliate, il bikini sbagliato, i pronomi sbagliati, le protesi sbagliate, i codici sbagliati, i gusti sbagliati, gli interessi sbagliati, le relazioni sbagliate, la memoria sbagliata, i gesti sbagliati, le intenzioni sbagliate, le immagini sbagliate, le letture sbagliate, che siete sul terreno sbagliato, nel continente sbagliato, che parlate la lingua sbagliata, che mangiate il cibo sbagliato, che amate nel modo sbagliato. Ma non siete sbagliatз, il vostro nome non è sbagliato.
Vi ho vistз e adesso so che siete più radicalз e più intelligenti, più bellз e più ibridз di quello che mai siamo stati noi prima o perfino di ciò che mai immaginammo che avremmo potuto essere. Dico bellз, ma non si tratta degli standard di bellezza eteronormativi e coloniali del fascismo ariano con i quali siamo cresciutз: il corpo bianco, magro, i capelli biondi, gli occhi chiari. Simmetrico, sorridente, valido. No. La vostra bellezza la state inventando quando rivendicate altre vite e altri corpi, altri desideri e altre parole. È la bellezza del corpo grasso, della carrozzina, dei capelli afro, del corpo malato, dei muscoli femminili e delle curve maschili, della voce roca o dolce, ma soprattutto la bellezza dell’intelligenza e della memoria, della cura e della tenerezza che avete lз unз per lз altrз. Mi sorprende che siate capaci di tanta tenerezza durante questa guerra. Se questo affetto è possibile, allora forse sarà possibile fare questa rivoluzione
Gli ideali politici patriarco-coloniali ci porteranno a immaginare la figura del rivoluzionario come un corpo atletico, un corpo virile, vigoroso e autoritario che lotta con determinazione, ma la vostra rivoluzione è cominciata nei letti, negli ospedali e nei cimiteri, nelle discoteche e nelle periferie, nei boschi bruciati e nelle conche dei fiumi inquinati, nelle carrette del mare e nei campi di rifugiati. L’artista coreano-americana e malata cronica Johanna Hedva e l’attivista trans-crip francese Zig Blanquer ci hanno insegnato a non confidare in questa idealizzazione del corpo militante moderno come parte di una ideologia “capacitista” che rifugge la limitatezza ed esclude la differenza dei corpi.
Non sarà con il corpo eroico della modernità, ma con il corpo ferito dalla violenza petrol-sesso-razziale e la distruzione ecologica che dovremo fare la prossima rivoluzione.
Vi ho visto e non posso che omaggiare il vostro coraggio, la precisione delle vostre parole, la vostra generosità, l’intelligenza con la quale vi siete distanziatз dall’ideale di successo neoliberale per unirvi adesso alla rete dei mostri e del micelio, alla cooperazione micotica, vegetale, animale e minerale. Non siete vittime. Siete sopravvissutз. Siete sopravvissutз all’abuso, alla violazione, al desiderio che hanno i padri colonialisti di porre fine aз loro figlз, ma ciò che è più importante è che per la prima volta avete trovato delle parole per nominare questo dolore, e con queste parole, con il vostro dolore non grezzo, ma trasformato, con il vostro dolore non nominato dalle sue categorie patologizzanti, ma con le vostre proprie parole, avete scoperto anche una nuova forza, un nuovo desiderio che non si può più ridurre né alle profezie patriarcali di Freud né alla lotta di classe del comunismo di partito.
E, guardandovi, desidero allontanarmi dalla generazione che è stata la mia, per unirmi alla vostra.
Voglio avvicinarmi a voi e abbandonare il mondo che ho conosciuto, perché se stiamo come stiamo è a causa dei nostri errori. Parlo della mia generazione e di quella dei miei genitori. Siamo stati noi e i vostri genitori coloro che hanno preferito dimenticare che il nostro libero mercato si basava sulla schiavitù e l’oppressione, che le nostre democrazie si accomodavano sui crimini della colonizzazione e del genocidio. Abbiamo preferito dimenticare che avevamo vinto il nazismo sganciando due bombe atomiche. Che la nostra ricchezza si costruiva a forza di sfruttamento, saccheggio e distruzione. Abbiamo preferito banalizzare la tortura e istituzionalizzare la violenza, affermare la differenza tra ciò che è nazionale e ciò che è straniero, pur di stabilizzare i nostri privilegi economici e razziali. Abbiamo accettato che la famiglia monogama fosse la migliore (e quasi l’unica) istituzione affettiva e di filiazione normale e abbiamo lottato per poter accedere a essa. Abbiamo creduto che la nostra libertà sarebbe arrivata quando avremmo avuto accesso come consumatori al mercato, come cittadini alla nazione e come sposi e genitori alla famiglia.
Vi abbiamo dato da poppare petrolio, vi abbiamo alimentato con plastica. Vi abbiamo iniettato in vena l’eroina elettronica
Perfino la sinistra disse che per prima cosa c’era da fare la rivoluzione di classe, che le lotte sessuali e razziali sarebbero venute dopo – ma ciò che è arrivato dopo, in fretta e furia, non è stata la rivoluzione della classe, ma la privatizzazione di tutto, e con essa il neoliberalismo. È stata la sinistra quella che ha ritenuto che le lotte femministe, omosessuali e trans non fossero sufficientemente virili e patriottiche, quella che ha preferito qualificare la “questione razziale” come “pericolo comunitario”. È stata la mia generazione quella che ha preferito trascorrere notte e giorno lottando per il matrimonio gay invece che per l’acquisizione del diritto di cittadinanza egualitario e giusto per tutti i corpi vivi del pianeta, di ogni luogo e di ogni provenienza.
A questo voi non avete preso parte: siete arrivatз in un mondo che aveva già preso decisioni normalizzatrici, razziste e distruttrici, che aveva firmato un contratto con il diavolo della finanza. La nostra dipendenza in primo luogo dal consumo e dalla comunicazione – che è solo un’altra forma di consumo, questa volta semiotico –, il nostro desiderio di essere rappresentati e accettati dalla maggioranza ve l’abbiamo inculcato dalla culla. Vi abbiamo dato da poppare petrolio, vi abbiamo alimentato con plastica e flusso continuo di internet. Vi abbiamo iniettato in vena l’eroina elettronica. E adesso vi tocca fare l’unica cosa possibile per sopravvivere: disintossicarvi. Cambiare corpo e regime cognitivo, desiderare in un altro modo, rompere il codice, amare ciò che noi vi abbiamo insegnato a odiare.
Finora vi abbiamo insegnato a vergognarvi della vostra inadeguatezza o della vostra disforia. Ma la vostra storia di oppressione è la vostra ricchezza, dovete studiarla e conoscerla, fare di essa un archivio collettivo per il cambiamento e la sopravvivenza. La vostra disforia è la vostra resistenza alla norma, in essa risiede la potenza di trasformazione del presente. Soltanto il sapere che viene da questo trauma e da questa violenza, da questa vergogna e da questo dolore, da questa inadeguatezza e da questa anormalità, può salvarci.
La vostra eredità rivoluzionaria non proviene dai vostri genitori biologici, ma da una trasmissione sotterranea e laterale di affetti e di conoscenze, un contrabbando culturale e bastardo che sfida i clan, i geni, le frontiere e i nomi. Vi guardo parlare con calma a una moltitudine e so che siete lз figlз di Sojourner Truth, le marrones che fuggirono dalla schiavitù, avete la saggezza di quella fuga, conoscete il cammino. Siete lз figlз di Emma Goldman e di Voltairine de Cleyre, preferite senza alcun dubbio la cooperazione al successo individuale. Siete lз figlз di Malcolm X, e di Martin Luther King se avessero potuto amarsi carnalmente, avete reso possibile la convergenza della disobbedienza civile e dell’affermazione dell’orgoglio della cultura nera. Siete le figlie che Fanon avrebbe avuto con Foucault se il professore francese fosse uscito dall’armadio e se non avesse esotizzato i corpi razializzati e se il militante algerino non fosse stato tanto maschilista e tanto omofobo. Forse per questo, voi andate molto più lontano di quanto loro non sarebbero mai potuti andare, inventate un altro movimento e un altro mondo. Siete le superstringhe. Siete lз figlз che James Baldwin, Jean Genet e Wainaina hanno avuto per ricombinazione culturale, è la vostra immaginazione che vi guida oltre la vostra memoria, perciò non dovete più nascondere di essere statз violatз, non dovete più scusarvi per il vostro lesbismo, per il vostro eccesso di desiderio sessuale, perché sapete che quel desiderio è anche ciò che alimenta la trasformazione che arriva.
E io sento quando vi vedo camminare verso il tribunale, prendere le piazze, riempire i muri di graffiti… che devo abbandonare la mia generazione per unirmi alla vostra.
Non posso darvi molti consigli utili per un tempo di mutazione come il vostro. Non siete voi che avete necessità dei miei consigli. Sono io che ho bisogno dei vostri. Tranne dirvi – dal momento che sono un mutante e che tutta la felicità che ho conosciuto è venuta dal lato di questa mutazione – di abbracciare intensamente la mutazione invece di preoccuparvi di riformare le istituzioni esistenti. Noi abbiamo già perso troppo tempo a integrarci nella cultura capitalista ed eteropatriarcale dominante, confrontandoci con i suoi linguaggi, negoziando piccoli margini di manovra. Abbiamo perso troppo tempo con le politiche di identità e con il femminismo conservatore.
Il femminismo non è più solo insufficiente ma, trasformato in ideologia della differenza sessuale naturalista, è diventato un freno per i progetti di trasformazione radicale. La femminista chicana Chela Sandóval aveva ragione quando ricordava che se l’eterosessualità eurocentrica era dominante nella società patriarcale, era determinata a esserlo anche nelle lotte femministe. Senza un progetto trasversale antirazzista, di critica del binarismo e anticapitalista, l’estensione pop del femminismo eurocentrico e cristiano genera, come effetto collaterale, l’esclusione delle “cattive ragazze” del femminismo: le donne trans, le sex worker, le lesbiche, le migranti, le donne musulmane, ma anche le persone non binarie, gli uomini trans, le persone intersessuali, le froce proletarie e razzializzate… Fare la rivoluzione femminista non significa semplicemente raggiungere una massa critica nella quale tutte le donne (razzializzate, lesbiche, disabili, sex workers, migranti, operaie, trans) accetteranno come propria la domanda di libertà e di uguaglianza delle donne bianche cristiane della classe media nella società eterosessuale. Non solo non è necessario che l’enunciazione sia omogenea per fare la rivoluzione, ma, anzi al contrario, solo l’eterogeneità dell’enunciazione può allontanare il nostro processo rivoluzionario dal pericolo del totalitarismo, della repressione della dissidenza e della purificazione del soggetto del femminismo. La vostra sollevazione non è quella delle donne che lottano per rompere il soffitto di cristallo degli ambiti corporativi o accademici, nemmeno di coloro che desiderano che si incrementi la vigilanza e la forza punitiva dello stato patriarcale per proteggere le vittime della violenza sessuale. La vostra rivoluzione è quella dei corpi vivi che sono stati considerati abietti dalla modernità petrol-sesso-razziale.
La dimensione della distruzione capitalista e petrol-sesso-razziale della vita esige di cambiare la comprensione del politico, di approfondire i livelli della lotta, per passare dai linguaggi identitari segmentati, che finora differenziano e perfino oppongono le lotte anticapitaliste, ecologiche, antirazziste e antipatriarcali, trans… all’immaginare l’insieme dei processi di mutazione (linguistica, cognitiva, libidinale, energetica, istituzionale, relazionale) necessari per riorganizzare la transizione verso un nuovo regime epistemico, quello che implica la trasformazione della tassonomia gerarchica dei corpi vivi e dell’accesso differenziale all’energia. Questa rivoluzione transizionista è anche quella nella quale l’alleanza delle lotte antirazziste, ecologiste e transfemministe permetterà di definire un nuovo quadro di intellegibilità per i corpi vivi.
Sbrigatevi e fatelo voi stessз. Non aspettate nessuna delle istituzioni: sono morte, o meglio, sono organi vampiri dello stesso dispositivo petrol-sesso-razziale contro il quale abbiamo bisogno di lottare. Non aspettatevi nulla dalla famiglia come famiglia. Non è come genitori o figli, come madri o fratelli che potrete prendervi cura lз unз dellз altrз. Perché queste relazioni sono già mediate da reti di potere, proprietà, sfruttamento ed eredità. È da quelli con cui non sapete come relazionarvi, da coloro che sfuggono ai protocolli istituzionali normativi, che può arrivare la trasformazione. Apprendete da tutto ciò che non è umano e dalle sue forme di estrazione e distribuzione dell’energia. Questo non vuol dire che dobbiate abbandonare i vostri genitori e fratelli, ma che dovete stabilire con loro la stessa relazione che stabilireste con alberi, funghi, uccelli, api, e viceversa, solo così potremo inventare un nuovo vincolo. Trattate i vostri genitori e fratelli come alberi e api e le api e gli alberi come se fossero i vostri genitori e fratelli.
Non perdete tempo a organizzare processi elettronici ai e alle rappresentanti dell’antico regime petrol-sesso-razziale. La transfobia delle femministe non merita uno spreco di energia mutante. Concentratevi piuttosto nel disegnare la mutazione, nel riparare ciò che è distrutto e inventare nuove pratiche e nuove forme di relazione, mentre gli e le terf del capitalocene si rompono la testa per sapere se siete uomini o donne, se sanguinate o meno attraverso l’orifizio genitale. Non siete più niente di quello che gli e le di ogni tipo si sforzano di designare. Siete tutti gli orifizi che sono esistiti o che esisteranno. Siete l’ano e la vagina universali. E niente di tutto ciò necessita di essere provato o difeso. Semplicemente è. Per questo, amicз miз sono pienǝ di gioia.
(Traduzione di Valeria Stabile)
Paul B. Preciado sarà a Roma, alla Nuvola dell’Eur, il 7 dicembre alle 19. In occasione della fiera dell’editoria Più libri più liberi parteciperà all’incontro “Godersi le metamorfosi”, con Chiara Valerio. Questo testo è stato letto alla prima edizione del festival Sherocco.