1. Fabrizio Moro, Un pezzettino
“Viva la felicità. Chi la prende e chi la dà”? Veramente è meglio, come scrisse John Stuart Mill, essere un umano insoddisfatto che un porcellino contento? Di sicuro, un buon livello di non contentezza fa bene a una canzone. Non lamentarsi all’infinito di tutto, per carità: ma percepire un qualcosa che manca. Riesce bene a Fabrizio Moro, uno in grado di mettere insieme tante cose: sentori di Rino Gaetano e di Blasco, amore e realtà, chitarre elettriche, andamento rap e archi che non sembrano svolazzi. Un pezzettino così è meno facile di come sembra.
2. Black Rebel Motorcycle Club, Beat the devil’s tattoo
Dalla scontentezza, quando è profonda e americana, sgorgano fiumi di blues. È quello che ci regalano qui i Brmc, eterne promesse di un rock americano antico, figo, ma frustrante. Di rado hanno suonato così bene. Male, perché suonare benissimo è indice di compiacimento. Ed è vero che la band si premura poi di distorcere le chitarre e inserire urla adeguate. Ma mediamente suona quasi troppo bene, e allora tanto vale parcheggiare le moto, vendere le chitarre su eBay, darsi al giardinaggio, vestire pastello.
3. Absynthe Minded, En voi
In Belgio hanno questo problema: sono percepiti come un posto tristanzuolo. Percezione che spesso viene confermata dalle cronache, ma contraddetta da cose belghe nel mondo: cioccolatini, fumetti, birre, band. Dopo gli eccellenti dEus, ecco questi cittadini di Gand, dall’appellativo inneggiante all’assenzio. Sentite il cantante Bert Ostyn lanciarsi in un “I wanna hear the humming of the sun”, come un Bob Dylan sull’eurostar, e capirete che una leggera scontentezza scorrevole è un buon lubrificante per trascinare la propria ferraglia sui binari della vita.
Internazionale, numero 839, 26 marzo 2010
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