Friarielli revolutions
1. Chadwick Stokes, Our lives, our time
Parte a razzo da gran ballata binaria, scorrevole come una You can call me Al di Paul Simon: due accordi di chitarra sporca e un we da movimento civile. Qui senti tutt’intorno a te la tensione giusta contro le corporation e i federales e l’intolleranza. E questo ragazzotto del New England e dello Zimbabwe, songwriter e attivista dei diritti civili? Ci piace il suo tono e il nuovo impegno, lo vogliamo così, più ancheggiabile che mugugnone, con un bel clip a contorno da vedere e rivedere sul treno ad alta velocità verso il tramonto.
2. L’Orso, Festa di merda
Come in un upgrade da peluche a grizzly, L’Orso è una creatura a forma di Mattia Barro che deve aver visto giorni migliori. Il nuovo album Ho messo la sveglia per la rivoluzione ha un mood irritabile, derive rap, elettroniche Baader-Meinhof, come stufo di essere un Sufjan Stevens bassopiemontese tra “emergenti che affogano”, e si sfoga: stacca la spina, dice parolacce, schifa arrangiamenti garbati, butta “la merda chiamata tristezza”. La rivoluzione comincia in casa d’altri, e non è mai troppo tardi per dire “s’è fatto tardi”.
3. Freak Opera, Action for happiness
“Baciare chi mi pare e bere il vino gratis, e dolcemente naufragare”. Via dal qui e ora, dal bar della stazione, dalle balordaggini del passato, in un impeto di futurismo che non esclude i violini celtici, il folk rock salsiccia e friarielli, le ballate i sentimenti gli accordi extralarge. Il libro nero della rivoluzione s’intitola l’album autoprodotto da questa formazione campana che risuona di combattivo disagio, tensione irritata, insofferenze nobili. Una tipica “band di spessore” brava e accigliata che bacia come nei film noir e brucia dal piacere di pestare sul palco.
Questo articolo è stato pubblicato il 23 gennaio 2015 a pagina 78 di Internazionale, con il titolo “Friarielli revolutions”. Compra questo numero | Abbonati