Sulla infinitezza, lezione svedese
Chi ha familiarità con il lavoro di Roy Andersson sa bene cosa aspettarsi da Sulla infinitezza, vincitore del premio per la miglior regia alla Mostra del cinema di Venezia del 2019. Nella trentina di tableaux vivants che compongono il film si ritrovano gli elementi che caratterizzano il suo cinema, fatto di camera fissa, scenografie minuziosamente ricostruite, frammenti di vita più o meno assurdi, persone anonime, anche quando si tratta di personaggi storici, personaggi paradigmatici anche quando sono totalmente anonimi. Questi quadri sono introdotti da una voce femminile (è l’infinitezza che parla? è la vita?) che ne completa il senso come potrebbero fare le didascalie nelle vignette umoristiche. E il film di Andersson è carico di umorismo, che ovviamente è particolare, sottile, profondo, tragicomico. Non freddo, ma nordico.
Chi non ha familiarità con l’opera del decano del cinema svedese – uno dei punti fermi su cui lo Svenska Filminstitutet, sotto la guida di Anna Serner, ha rilanciato la cinematografia del suo paese a livello internazionale – può farsene un’idea guardando i suoi spot pubblicitari, di cui si trovano ampie antologie su YouTube. Per anni infatti Andersson, dopo il suo exploit al movimentato festival di Berlino del 1970, si è dedicato principalmente alla realizzazione di spot, trovando nella forma breve una delle chiavi per il suo ritorno ai lungometraggi e per la vittoria del Leone d’oro, sempre a Venezia, nel 2014 con il film Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza. In qualche modo Sulla infinitezza sembra un ideale proseguimento. Andersson forse è convinto che la sua carriera volga al termine e magari con questo film prova a suggerirci che, potendo, sarebbe capace di andare avanti all’infinito.
Sulla infinitezza
Di Roy Andersson. Svezia/Germania/Norvegia 2019, 76’. In sala