Nel fine settimana, durante il G20 di Buenos Aires, gli sguardi preoccupati si concentreranno su loro due: Donald Trump e Xi Jinping, presidenti degli Stati Uniti e della Cina, i due giganti impegnati in una guerra commerciale che potrebbe destabilizzare l’economia mondiale.

Ormai da mesi Washington e Pechino si sfidano a colpi di dazi su parte dei loro scambi commerciali. Se a Buenos Aires non si troverà un accordo politico, Trump minaccia di imporre a partire dal 1 gennaio una tassa su tutte le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti, ovvero su un giro d’affari di 500 miliardi di dollari. L’impatto di un simile provvedimento sarebbe enorme in tutto il globo.

Il clima degli ultimi giorni non sembra particolarmente favorevole, ma esiste comunque la possibilità che Pechino faccia qualche concessione sull’apertura del suo mercato e che Trump ne approfitti per rivendicare un grande successo. La teatralizzazione fa parte del rituale dei vertici internazionali.

Negli Stati Uniti hanno la sensazione di essersi fatti fregare permettendo alla Cina di entrare nella Wto

Eppure un accordo a Buenos Aires, di qualsiasi portata, rappresenterebbe nient’altro che una tregua, perché a questo punto è evidente che, al di là della dimensione commerciale, la posta in gioco è il rapporto di forze globale tra i due giganti del ventunesimo secolo.

I leader cinesi hanno capito (con ritardo) che non sono alle prese solo con un presidente eccentrico a Washington e che Trump incarna, alla sua maniera, un cambio di atteggiamento radicale nei confronti della Cina da parte degli Stati Uniti, con i democratici che condividono l’ostilità della Casa Bianca.

Il motivo? Negli Stati Uniti hanno la sensazione di essersi fatti fregare. Nel 2001 hanno aperto le porte dell’Organizzazione mondiale del commercio alla Cina, importando e investendo moltissimo sul made in China, per poi ritrovarsi con un paese che, ai loro occhi, non rispetta le regole del gioco.

Due mondi paralleli
Anche se non lo esprimono nello stesso modo, gli europei condividono questo punto di vista: Emmanuel Macron ha chiesto la “reciprocità” in occasione di un viaggio in Cina, mentre Angela Merkel è ormai favorevole al controllo degli investimenti cinesi in Europa.

Gli elementi di frizione tra gli Stati Uniti e la Cina sono talmente numerosi che inevitabilmente produrranno un lungo periodo di ostilità che di fatto assumerà l’aspetto di una guerra fredda.

I leader cinesi hanno già tratto questa conclusione dopo il difficile 2018, e accelerano la loro ricerca di una sovranità tecnologica. Stanno emergendo due mondi paralleli.

Il momento attuale, evidentemente, è segnato dal disamore. Da un lato la Cina ha sostituito il sogno americano con un “modello cinese” plasmato in modo autoritario da Xi Jinping; dall’altro gli Stati Uniti, con i modi goffi di Donald Trump, hanno capito che la Cina non sta intraprendendo il previsto cammino di apertura.

Pubblicando un’apprezzabile serie di articoli sui rapporti tra le due grandi potenze, il 29 novembre il New York Times parlava di un “percorso di scontro”.

Il 1 dicembre, a cena, Donald Trump e Xi Jinping potrebbero trovare un compromesso commerciale, ma resta il fatto che la loro rivalità strategica è appena cominciata.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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