Il covid-19 travolge la Tunisia e rivela il fallimento dello stato
Il covid-19 e le sue varianti sono un barometro dei problemi delle società più di quanto si creda. Questa lezione, emersa più volte durante gli ultimi 18 mesi a tutte le latitudini, è oggi evidente in Tunisia, paese martire della pandemia.
La Tunisia era uscita relativamente bene dalle ondate precedenti, ma stavolta subisce un assalto brutale del virus, che ha fatto collassare il sistema sanitario nazionale. Tutti gli indicatori tunisini sono in rosso, come dimostrano i dati riportati dal sito indipendente tunisino Inkyfada. Rosso è anche il colore del semaforo mostrato dalla Francia, che ha vietato di visitare la Tunisia se non in caso di estrema necessità.
Nel paese è in corso una tragedia disumana, con i reparti di pronto soccorso stracolmi e dove non c’è più posto nemmeno nei corridoi. Il paese presenta il tasso di mortalità più elevato del continente africano, ma la tragedia è anche sociale, in una nazione duramente colpita da anni di marasma, ed economica, con la stagione turistica sacrificata insieme ai relativi posti di lavoro.
La solidarietà internazionale viene in soccorso della Tunisia. C’è voluto del tempo, ma oggi gli aiuti sono sostanziosi. Francia e Cina inviano le dosi di vaccino mancanti, mentre i vicini del Maghreb forniscono ossigeno e respiratori, al pari di Turchia e Arabia Saudita.
La pandemia ha travolto il teatrino politico che impedisce qualsiasi progresso, mostrando il degrado dei servizi
In ogni caso a impressionare più di ogni altro aspetto è la mobilitazione della diaspora tunisina. La Tunisia ha 1,5 milioni di cittadini residenti all’estero, di cui la metà in Francia. I social network hanno funzionato a pieno regime per raccogliere fondi e inviare equipaggiamenti o farmaci agli ospedali e alle associazioni.
La caratteristica principale del flusso di aiuti della diaspora è che aggira accuratamente lo stato, giudicato incapace, e arriva direttamente alla società civile. “Stiamo seguendo la stessa strada percorsa dal Libano dopo l’esplosione del porto di Beirut, quando tutti chiedevano di donare alle associazioni e non allo stato”, ha dichiarato il 15 luglio a Le Monde il fondatore di una ong tunisina. Il paragone con il Libano non è esattamente lusinghiero, di questi tempi.
La fiducia dei tunisini nello stato è svanita dopo un decennio dalla rivoluzione che ha lasciato un gusto amaro in bocca alla popolazione. In un contesto segnato da manovre sterili che avevano paralizzato la vita politica – tra la principale forza in parlamento, gli islamisti di Ennahdha, e il presidente conservatore Kaïs Saïed – la pandemia ha travolto il teatrino politico che impedisce qualsiasi progresso, mostrando il degrado dei servizi di uno stato che aveva quantomeno il merito di esistere.
Inoltre l’emergenza sanitaria mette in evidenza la fuga di competenze di cui la Tunisia è vittima da anni, per stanchezza o disperazione. A tal proposito esiste un dato eclatante: i rianimatori tunisini che lavorano negli ospedali francesi sono più numerosi di quelli che lavorano in Tunisia.
Dopo la rivoluzione del 2011, che ha portato la libertà nel paese, la Tunisia ha mostrato tutta la vivacità della sua società civile. Oggi torna a manifestare la stessa forza, e la speranza è che questo slancio possa contribuire non soltanto a superare la prova della pandemia ma anche a dare vita ed energia a una democratizzazione non ancora compiuta, ma che resta l’unica sopravvissuta della “primavera araba”.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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