Alcuni avvenimenti segnano una frattura storica che percepiamo istintivamente nel momento in cui si verificano. La caduta del muro di Berlino, il 9 novembre 1989, è uno di essi. Lo stesso vale per l’11 settembre 2001, anche se esiste un dibattito tra gli storici sulla possibilità che esistano davvero un “prima” e un “dopo” l’attacco contro le torri gemelle.
All’elenco aggiungerei la caduta di Kabul, il 15 agosto scorso, il cui impatto si farà sentire per molto tempo. Toccherà agli storici stabilire se davvero, come si può pensare oggi, la fine della guerra americana in Afghanistan chiuderà il capitolo aperto l’11 settembre. Di sicuro evidenzia un cambiamento nella strategia della prima potenza mondiale e l’inizio di una nuova fase, quella della rivalità con la Cina.
Non serve essere particolarmente anziani per aver vissuto almeno tre momenti storici distinti: la guerra fredda, il dopo guerra fredda e il dopo 11 settembre, a cui ora si aggiunge un quarto momento cruciale con il dopo Kabul. La nostra è un’epoca di confusione, in cui potenze grandi e medie si mettono alla prova e cercano di stabilire nuovi rapporti di forza. Ma è anche un’era pericolosa.
Illusioni del dopo guerra fredda
Tutte le persone che hanno più di quarant’anni ricordano la guerra fredda e i suoi simboli. Prima di diventare una meta turistica, il checkpoint Charlie di Berlino era un punto di passaggio tra l’est e l’ovest, ed era impossibile attraversarlo senza sentire un peso sullo stomaco, come nei romanzi di John LeCarré.
Poi la guerra fredda si è conclusa, e al posto del conflitto tra i due blocchi abbiamo vissuto quello che è stato definito banalmente “dopo guerra fredda”, un periodo caratterizzato dalla potenza egemonica degli Stati Uniti e da una globalizzazione che secondo qualcuno avrebbe dovuto risolvere ogni problema. Le Nazioni Unite avevano ripreso slancio, la democrazia avanzava un po’ ovunque e, miracolo, Nelson Mandela era diventato presidente del paese dell’apartheid.
La corsa in avanti dell’occidente si è conclusa con un fallimento
Questa illusione è andata in pezzi l’11 settembre con gli attentati di Al Qaeda. Il mondo è diventato nuovamente tragico ( ma va detto che negli anni novanta non erano mancati i drammi, con il genocidio in Ruanda e le guerre nell’ex Jugoslavia). Il simbolo delle torri gemelle e l’irruzione del rischio terrorista in cima alle possibili minacce hanno spinto gli Stati Uniti, e di conseguenza l’occidente, in una corsa in avanti che si è conclusa con un fallimento.
Nel 2001, quando sono stati compiuti gli attentati dell’11 settembre, gli Stati Uniti erano l’unica potenza globale e, come recitava la frase simbolo dell’epoca, eravamo diventati “tutti americani”. Oggi, vent’anni dopo, perfino gli americani sono divisi, e il mondo è in crisi. Di sicuro il pianeta non si riconosce più in una leadership statunitense che ha perso valore a causa della guerra in Iraq, della rinuncia in Siria, del caos trumpiano e infine della disfatta afgana. Il mondo attuale non somiglia affatto a quello che immaginavamo nel 2001.
Questo “dopo Kabul” ha diverse caratteristiche: la prima è che non esiste più una sola superpotenza, ma ce ne sono due, con l’emergere della Cina, potenza revisionista che vuole cambiare le regole del gioco internazionali.
La seconda caratteristica è l’emancipazione delle potenze medie come Turchia, Iran, Russia o India, che vogliono ritagliarsi il loro ruolo. Resta l’Europa, che ancora non sa se vuole essere una potenza ma che deve rendersi conto che in caso di rinuncia si condannerebbe a essere subordinata alle altre. Non sarà facile imporsi nel “dopo Kabul”.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it