Doveva essere una grande cerimonia, con una folla di teste coronate e capi di stato. E invece è diventato l’appuntamento diplomatico più importante dell’anno. La riapertura della cattedrale di Notre-Dame, in programma il 7 dicembre, ha cambiato connotazione con l’annuncio della presenza di Donald Trump, che ha mandato in subbuglio il mondo della diplomazia.
Trump non è ancora presidente degli Stati Uniti e non lo sarà fino al 20 gennaio prossimo. Joe Biden, appena tornato dall’Africa e ormai senza motivi per sottoporsi all’ennesimo viaggio, sarà rappresentato dalla moglie Jill. Di fatto, però, Trump è già molto più che un presidente eletto. La transizione attuale non somiglia affatto alle precedenti, dunque il suo viaggio a Parigi, il primo all’estero dopo la vittoria elettorale, sarà un evento straordinario. Il ritorno di Trump alla Casa Bianca è temuto da alcuni e atteso con trepidazione da altri, ma nessuno ha dubbi sul fatto che il mondo sarà molto diverso a partire dal prossimo 20 gennaio.
Dopo la sua elezione, Trump ha ricevuto diverse telefonate. A Parigi, nel contesto della cerimonia formale a Notre-Dame, avrà sicuramente numerosi incontri (anche se brevi) con alcuni dei cinquanta capi di stato e sovrani presenti. Il primo sarà quello con Emmanuel Macron, il padrone di casa. La crisi politica aperta il 5 dicembre dalle dimissioni del primo ministro Michel Barnier indebolisce sicuramente Parigi, ma il colpo mondano-diplomatico di Notre-Dame dimostra che il soft power francese è rimasto intatto.
Trump avrà la possibilità di verificare fino a che punto il resto del mondo è ambivalente nei suoi confronti, a cominciare dagli alleati degli Stati Uniti, che temono questo miliardario imprevedibile ma allo stesso tempo considerano il suo paese come una potenza indispensabile per la loro sicurezza. Per questo motivo faranno le concessioni necessarie per assicurarsi che nulla cambi. In un mondo in preda all’ansia, il sostegno di Washington è un’assicurazione sulla vita.
Tra gli invitati c’è un nome che è mormorato senza però che ci sia una conferma ufficiale: è quello di Volodymyr Zelenskyj, il presidente ucraino la cui presenza sarebbe estremamente significativa.
Conosciamo bene le posizioni di Trump sull’Ucraina. I repubblicani hanno già bloccato in passato gli aiuti militari a Kiev, mentre il presidente eletto ha promesso di risolvere il problema a modo suo, anche se ancora non è chiaro come. Di sicuro c’è che nell’entourage di Trump è presente una forte lobby a favore di Putin. Ma è anche vero che in questo momento è in corso un’attività intensa per convincere il prossimo presidente della necessità di non abbandonare l’Ucraina.
Nei giorni scorsi il segretario generale della Nato Mark Rutte si trovava a Mar-a-Lago, quartier generale di Trump in Florida, insieme a un rappresentante di Kiev. In molti fanno presente che in Ucraina è in gioco la credibilità della leadership statunitense e che una vittoria di Putin indebolirebbe la posizione di Washington rispetto alla Cina, bestia nera di Trump.
Allo studio ci sono diversi compromessi. Lo stesso Zelenskyj ha provato a difendere la sua causa qualche giorno fa, parlando con Trump al telefono, ma se potesse trascorrere qualche minuto con lui durante la cerimonia parigina potrebbe sperare di ottenere di più. Macron e altri leader europei agiranno con lo stesso spirito. Tutti sanno che fare cambiare idea a Trump è pressoché impossibile, ma forse la rinascita di una cattedrale europea potrebbe fare il miracolo. Confidiamo nello spirito di Notre-Dame.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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