L’uomo accusato di aver ucciso otto persone, tra cui sei donne statunitensi di origine asiatica, il 16 marzo in alcuni centri benessere di Atlanta avrebbe detto che stava cercando di “eliminare le tentazioni”. Come se altri fossero responsabili dei suoi pensieri, come se il mostruoso atto di togliere la vita agli altri piuttosto che imparare a controllarsi fosse giusto. Questo aspetto di un crimine che è stato anche orribilmente razzista riflette una cultura che incolpa le donne per il comportamento degli uomini. L’idea delle femmine tentatrici risale all’Antico testamento ed è sottolineata nel cristianesimo evangelico dei bianchi; le vittime della sparatoria di Atlanta erano dipendenti e clienti dei centri benessere e si dice che, quando è stato arrestato, l’assassino avesse in mente di andare in Florida per colpire “l’industria del porno”.
Qualche giorno fa un’amica più anziana di me mi ha raccontato i suoi tentativi negli anni settanta di aprire un rifugio per le donne che avevano subìto violenza domestica in una comunità in cui gli uomini non credevano che quello fosse un problema. E quando li avevi convinti che lo era, ti chiedevano: “E se fosse colpa delle donne?”.
La scorsa settimana un mio amico ha condiviso un lungo post antifemminista che incolpava le ragazze per i problemi del governatore di New York Andrew Cuomo, accusato di molestie sessuali: avrebbero dovuto fare buon viso a cattivo gioco quando Cuomo violava le regole sui comportamenti nel posto di lavoro, era loro la responsabilità di proteggere la sua carriera e la sua reputazione?
Sulle spalle delle donne
A volte gli uomini sono esclusi dalla storia. Dall’inizio della pandemia sono stati pubblicati molti articoli sul fatto che le donne hanno smesso di fare carriera o hanno lasciato il lavoro perché nelle famiglie eterosessuali devono occuparsi della maggior parte delle faccende domestiche, e in particolare di crescere i figli.
A febbraio la National public radio statunitense (Npr) ha aperto un servizio affermando che questo impegno è “piombato sulle spalle delle donne”, come se fosse caduto dal cielo e non imposto dal coniuge. Devo ancora leggere un articolo su un uomo la cui carriera sta andando alla grande perché ha scaricato quel peso su sua moglie.
Spesso si biasima la donna per la situazione in cui si trova a causa del marito e le viene consigliato di lasciarlo, senza riflettere sul fatto che il divorzio spesso porta povertà per lei e i suoi figli, senza contare che carichi di lavoro disuguali in casa possono ridurre le possibilità per una donna di raggiungere l’indipendenza.
Dietro tutto questo c’è il problema di come si raccontano le cose. Il modo più comune di parlare di casi di omicidio, stupro, violenza domestica, molestie, gravidanze indesiderate, povertà delle famiglie con madri single e una miriade di altri fenomeni lasciano gli uomini fuori dal quadro. Li assolvono dalla responsabilità. Abbiamo sempre trattato molte cose che gli uomini fanno alle donne o che uomini e donne fanno insieme come problemi delle donne, che sono loro a dover risolvere, comportandosi in modo sorprendentemente eroico e resistendo al di là del buonsenso. Oltre alle faccende domestiche e all’assistenza all’infanzia, anche quello che fanno gli uomini cade sulle spalle delle donne.
In No visible bruises (Nessun livido visibile), un libro del 2019 sulla violenza domestica, Rachel Louise Snyder osserva che la reazione comune è spesso “perché non se n’è andata?” piuttosto che “perché lui era violento?”. Alle donne che subiscono molestie e minacce per strada viene detto di limitare le proprie libertà e cambiare comportamento, come se le minacce e la violenza maschili fossero qualcosa che non si può correggere, come il tempo, non qualcosa che può e deve cambiare. Sulla scia del presunto rapimento e omicidio di Sarah Everard da parte di un poliziotto, poche settimane fa nel Regno Unito, la polizia è andata a bussare porta a porta per dire alle donne del sud di Londra di non uscire da sole.
Quando se ne parla, le gravidanze indesiderate sono descritte come situazioni nelle quali sono andate a ficcarsi delle donne irresponsabili: per questo alcuni i conservatori vogliono punirle. Chiarito che le donne possono rimanere incinte da sole, con l’aiuto di una banca del seme o di un donatore, le gravidanze indesiderate sono al 100 per cento il risultato di rapporti sessuali in cui qualcuno, per dirla in poche parole, ha messo il suo sperma dove era probabile che incontrasse un ovulo: sono coinvolte due persone. Ma troppo spesso, se c’è un’interruzione di gravidanza, solo una delle due è considerata responsabile.
Lo stupro è un reato di cui spesso è considerata responsabile la vittima, invece dell’autore
Nel suo libro del 2015 sull’aborto, Pro: reclaiming abortion rights, Katha Pollitt osserva che il 16 per cento delle donne ha subìto una “coercizione riproduttiva”, cioè il partner ha usato minacce o violenza senza tener conto della scelta riproduttiva di lei, e il 9 per cento ha subìto un “‘sabotaggio del controllo della nascita’, cioè il partner ha gettato via le sue pillole, bucato i preservativi o le ha impedito di usare altre forme di contraccezione”. Uno dei motivi per cui l’aborto dovrebbe essere un diritto illimitato è che le violazioni che portano al concepimento devono essere bilanciate dalle conseguenze.
E ovviamente le leggi che permettono l’interruzione di gravidanza solo in caso di stupro richiedono alle donne di dimostrare di essere state violentate: un processo faticoso, invadente e prolungato che spesso fallisce comunque. Pollitt sottolinea anche che molte gravidanze indesiderate derivano da abusi che non rientrano nella definizione legale di stupro. Lo stesso stupro è un reato di cui la vittima, e non l’autore, è spesso ritenuta responsabile. Nel suo meraviglioso libro di memorie Know my name, Chanel Miller racconta di essere stata accusata perché, mentre era incosciente, era stata aggredita da uno sconosciuto, “il nuotatore stupratore di Stanford”.
Quando nel 2018 la Tulane university ha denunciato che il 40 per cento delle studenti e il 18 per cento degli studenti erano stati aggrediti sessualmente, avrebbe dovuto concludere che il suo campus era popolato non solo da vittime, ma anche da stupratori. E invece non è stato così. Nel 2016 i Centers for disease control and prevention, un organismo di controllo sulla sanità pubblica statunitense, hanno pubblicato un avviso in cui dicevano alle donne che il consumo di alcol avrebbe potuto provocare violenze, gravidanze, maltrattamenti o malattie sessualmente trasmissibili, come se l’alcol facesse tutte queste cose, e le donne da sole avessero la responsabilità di evitarlo. Ancora una volta gli uomini erano stati eliminati dalle storie di cui sono protagonisti.
Esistono poi modi più sottili, per esempio descrivere le persone che subiscono abusi e discriminazioni come arroganti o malate. Ovviamente succede quando i responsabili dello status quo decidono di difenderlo piuttosto che preoccuparsi dei soggetti danneggiati o emarginati, rendendo così più facile che la segnalazione di un abuso ne produca altri. A febbraio Ruchika Tulshyan e Jodi-Ann Burey in un articolo su The Harvard Business Review hanno scritto che “la sindrome dell’impostore ci spinge a cercare di cambiare il comportamento delle donne nel posto di lavoro piuttosto che cambiare i luoghi in cui le donne lavorano.
Troppo spesso una donna “ha l’impressione di non essere meritevole o qualificata”, quando dovrebbe pensare che “lavora in un luogo dove la trattano come immeritevole o non qualificata”. Il titolo di un articolo del 7 marzo della Nbc News ne dà un esempio: “Google ha consigliato una verifica della sanità mentale nel caso di dipendenti (uomini e donne) che si sono lamentati di razzismo e sessismo”. L’articolo spiega che i dipendenti che hanno presentato i reclami sono stati licenziati, mentre nessuno ha controllato chi gli aveva dato qualche motivo di lamentarsi.
Escludere i responsabili da questo modo di raccontare le cose significa proteggere gli autori dei crimini, sia come individui sia come classe, anche se si finge attenzione per chi ha subìto gli abusi. È un problema che può diventare critico in tutte le situazioni che ho descritto, ma che nel massacro della Georgia è stato terribile: un giovane ha imparato dalla sua sottocultura battista del sud che il sesso è peccato e le donne sono tentatrici, le ha ritenute responsabili delle sue tentazioni e le ha punite con la morte.
(Traduzione di Bruna Tortorella)
Questo articolo è uscito sul numero 1402 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati
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